INTERNET E
DIRITTO
di Maurizio Aloise
5° classificato al Premio "Award 1999 World Wide Jus"
Pubblicato insieme agli altri
elaborati sulla Rivista Studiocelent@no.it
Il
diritto, quale struttura coessenziale dell'homo iuridicus, pur variabile nelle
sue forme, non sempre riesce a tenere il passo del progresso tecnologico e
sociale dell'homo economicus, poichè in settori come quello dell'informatica,
capaci di esprimere l'intrinseca dinamicità dello sviluppo dell'uomo, spesso
rimane inerte di fronte ai nuovi scenari che la storia disegna nell'evolversi
della società. Senza dubbio, la rivoluzione telematica che ha modificato il
modo di agire e di pensare al progresso dell'homo roboticus, ha posto
l'operatore e l'interprete del diritto di fronte ad una serie di
"sconvolgimenti" che hanno notevolmente inciso non solo
sull'organizzazione dei fenomeni sui quali sono chiamati ad applicare le regole
del diritto, ma anche sulle metodologie di studio di tali fenomeni nonchè sul
modo di pensare il diritto stesso sia nella sua fase di produzione che in
quella attuativa o di realizzazione delle sua funzione. Le autostrade
informatiche su cui viaggiano innumerevoli quantità di dati consentono lo
spostamento in un arco temporale così breve da non poter essere, un tempo,
immaginabile, nel corso del quale gli utilizzatori danno vita ad uno scambio di
"informazioni" (nuovo bene giuridico oggi tutelato contro le ingerenze
e le aggressioni altrui nonchè quale strumento di salvaguardia dei principi di
buona fede e correttezza contrattuale) generando rapporti che, se non sono
rilevanti per il diritto positivo, di certo reclamano adeguati strumenti di
tutela in punto di disciplina.
Fra
le varie forme di progresso tecnologico che la storia dell'uomo ha conosciuto
quello delle tecnologie informatiche, della telematica (termine nato dalla
contrazione dei vocaboli "telecomunicazione" e
"informatica") e delle reti telematiche appare quello che si è
mostrato maggiormente idoneo ad incidere sulla realtà di ciascuno di noi, in
quanto suscettibile di poter coinvolgere quasi tutti gli aspetti che
interessano la vita di ogni giorno e non solo negli scambi commerciali. Se
consideriamo, comunque, che secondo un'analisi economica del diritto, l'uomo in
quanto spinto dai bisogni si pone in relazioni con i suoi simili destinate a
costituire la base per il riconoscimento da parte del diritto possiamo
comprendere la rilevanza che per il diritto assumono le relazioni medesime. Ciò
non tanto per un generalizzato favor facti, quanto per il raggiungimento di
quella certezza del diritto che costituisce la conditio sine qua non per
l'attuazione dell'antico brocardo latino non ex facto oritur ius sed ex iusititia
oritur ius (dove la giustizia è rappresentata non solo dalle esigenze di regolamentazione ma da quella ben diversa
di assicurare la funzionalità del diritto, unico strumento, anche nella società
moderna, idoneo a garantire la composizione dei conflitti di interessi tra i
consociati anche in una visione cosmopolita). Ma l'attenzione dei giuristi,
nelle svariate analisi dedicate al fenomeno "internet" si è spesso
soffermata a sottolineare i freni che la complessità del fenomeno medesimo pone
agli operatori del diritto impedendo a giudici e, soprattutto, legislatore di
cogliere la reale portata giuridica dei cambiamenti in atto nella nostra
società. Ciò ha generato un certo (non sorprendente) immobilismo del
legislatore ed un atteggiamento diffidente da parte dei giudici. Credo che
dietro tali atteggiamenti di immobilismo e diffidenza non vi sia soltanto la
proverbiale inerzia nell'adeguamento delle regole formali alle conquiste della
vita materiale, quanto piuttosto la paura del fenomeno della globalizzazione
che appare come ineludibile conseguenza del diffondersi di internet. La
globalizzazione, in altri termini, credo che sia il muovo mostro da sconfiggere
per superare il divario tra diritto e rapporti in rete. La nuova autostrada
dell'informazione ha aperto, infatti, la via per l'esplorazione del cosiddetto
"Cyberspazio" che costituisce un universo nel quale il diritto non ha
ancora trovato la sua esatta dimensione. In quest'ambito, pertanto, la
problematicità giuridica delle reti telematiche nasce dall'incapacità di
concepire rapporti così vasti e così veloci per un diritto sorto su basi
statiche. Del resto non v'è dubbio che esiste un differente approccio culturale
nei confronti, rispettivamente, dell'informatica che procede a una velocità
elevatissima, aprendo scenari sempre nuovi, e del diritto che procede con
istintiva prudenza e non sempre può, o riesce, a disciplinare con tempestività
i nuovi scenari né a prevedere quelli prossimi venturi. Ne deriva che
immancabilmente, ponendosi su due basi di partenza diverse, il diritto e la
rete saranno destinati a rimanere sempre più o meno distanti cosicchè il primo
sarà sempre costretto ad inseguire la seconda
cercando ci colmare i vuoti che nel frattempo si sono venuti a creare.
Esisterà sempre, dunque, accanto ad una realtà contra ius che si spera sia
ridotta (o quanto meno si cerchi di ridurre)
al minimo, una realtà praeter ius che il diritto raggiungerà quanto se
ne sarà già formata un'altra. Assisteremo, allora ad una partita impari che
potrà riequilibrarsi solo attraverso un nuovo modo di pensare il diritto
attraverso la stessa rete telematica. Quando sarà acquisita la cultura
giuridica della multimedialità del diritto, degli orizzonti infiniti che
possono derivare dallo scambio di strumenti giuridici al di là del metro
comparativo, allora potremmo assistere a diverse realtà giuridiche, tutte
integrate, fra di loro in un legame che, azzardando una provocazione, esprimerà
la nuova istanza giusnaturalista. Nel frattempo, però, non si deve dimenticare
che se tutto questo vale per quei rapporti che traggono
"originarietà" da internet, un discorso del tutto diverso deve essere
condotto per quanto riguarda tutti quei rapporti che sono già inquadrati nella
realtà giuridica ma che attraverso internet assumono una nuova dimensione o
meglio una nuova forma di estrinsecazione. Si pensi, ad esempio, all'ipotesi di
una comunicazione che integri il reato di diffamazione di un terzo effettuata a
mezzo di un supporto informatico: in tal caso il fatto che il reato avvenga a mezzo
di una rete informatica è assolutamente ininfluente per il giurista, che potrà
tranquillamente applicare soluzioni già a lui note a un problema che pure si
presenta come avente caratteri di novità. Il titolare di un nome di dominio
Internet, infatti, ha gli obblighi del proprietario di un organo di
comunicazione, poichè la rete Internet, quale "sistema internazionale di
interrelazione tra piccole e grandi reti telematiche", è equiparabile ad
un organo di stampa con la conseguenza che risponde degli eventuali illeciti
integrati dal contenuto delle pagine inserite nel sito da lui gestito stante,
vieppiù, l'obbligo di diligente verifica circa la legittima titolarità del
segno distintivo usato dall'inserzionista e di controllo preventivo circa il
contenuto del messaggio, al fine di verificare che la pubblicità sia palese,
veritiera e corretta. Tale principio rimane fermo anche se il titolare del nome
di dominio si limita alla manutenzione tecnica del sito, mentre la creazione,
la gestione e la negoziazione commerciale delle pagine da mettere in rete è
affidata ad un soggetto terzo. Altro principio che ha trovato oramai conferma
nelle pronunce delle Autorità di settore, è quello secondo il quale Internet è,
e deve essere considerato, un veicolo pubblicitario (Autorità Garante per la
concorrenza, 27 marzo 1997, n. 4820) e in considerazione della particolarità di
Internet come veicolo pubblicitario, la circostanza che titolare del sito sia
persona diversa dall'operatore pubblicitario non esclude una responsabilità di
quest'ultimo per le notizie e le informazioni diffuse a promozione della
propria immagine. Da ciò discende tutta una serie di conseguenze per quel che
riguarda la disciplina della concorrenza e del mercato, l'individuazione di
condotte anticoncorrenziali e di contraffazione ed usurpazione del marchio.
Questi sono solo alcuni dei molteplici aspetti (si pensi al problema della
firma digitale, della certificazione informatica, dei contratti conclusi in
rete, e così via) atti a testimoniare come internet possa entrare all'interno
di fattispecie giuridiche già acquisite dal legislatore e dalla giurisprudenza.
A tali aspetti, vanno, doverosamente, aggiunti per l'importanza rivestita, gli
istituti disciplinati dalla nuova legge 547/1993 con la quale il legislatore ha
disciplinato le nuove fattispecie incriminatrici del settore informatico (c.d.
computer crimes) integrando le disposizioni previgenti per estenderne o
renderne esplicita l'applicazione ai nuovi fenomeni illeciti. Tale scelta è
stata ispirata dalla convinzione (in realtà non sempre fondata) che fosse
preferibile ricondurre i nuovi reati alle figure già esistenti nel codice
rimanendo in tal modo nel solco del criterio seguito dal legislatore del 1930
che, nel prevedere i vari raggruppamenti dei reati, è ispirato all'unità
dell'oggetto giuridico, inteso quanto meno come unico interesse di categoria
mentre le figure da introdurre sono apparse subito solo quali nuove forme di
aggressione, caratterizzate dal mezzo o dall'oggetto materiale, ai beni giuridici
(patrimonio, fede pubblica..) già oggetto di tutela nelle diverse parti del
corpo del codice.
Non è
questa, ovviamente, la sede per affrontare tutte le complesse problematiche
connesse al fenomeno internet, che richiederebbero una trattazione di ben più
ampio respiro. Ma volendo trarre una riflessione conclusiva dalle brevi
considerazioni sin qui svolte credo di poter ribadire quanto ho affermato in
apertura circa l'esigenza di ricondurre, come è necessario, il fenomeno sociale
"internet" nell'orbita del diritto data la stretta interferenza che
viene a crearsi tra i due mondi. Occorre, dunque, che il diritto prenda
coscienza della consistenza e del ruolo che internet ha assunto all'interno del
vivere quotidiano superando la paura dei nuovi rapporti, la proverbiale
riluttanza del diritto ad accogliere nuovi fenomeni. Occorre, altresì, superare
la "naturale" propensione di alcuni giuristi di vedere "il
demone dietro le mentite spoglie del progresso" poichè non rende alcun servigio alla scienza giuridica chi crede
di poter salvaguardare principi fondamentali come quello della certezza del
diritto, attestandosi sui posizioni conservatrici e chiudendo gli occhi,
(rectius, la mente) di fronte a nuove forme di espressione del comportamento
umano. A ben vedere, infatti, la rete telematica non è altro che l'occasione
per poter cogliere l'essenza di nuovi rapporti giuridici che appaiono
meritevoli di riconoscimento giuridico poichè diretti a realizzare interessi,
magari di nuova coniazione, ma comunque meritevoli di tutela. Basti pensare
alle infinite applicazioni a cui la rete telematica, se correttamente
inquadrata come strumento di attuazione del diritto in quanto veicolo di
informazioni, è suscettibile di essere preordinata. Così nella formazione
culturale, nella gestione dei rapporti tra lo Stato ed i cittadini in una
prospettiva di trasparenza, semplificazione e celerità, nei rapporti tra
privati, nella formazione di giudici ed operatori del diritto, e non da ultimo
nella formazione delle stesse leggi in una prospettiva che può fondatamente
vedere la partecipazione dei cittadini ai procedimenti formativi,
partecipazione che potrebbe essere resa possibile proprio grazie ad internet
che permette lo scambio di informazioni tra distanze ragguardevoli in un breve
arco temporale.
La
non regulation del settore telematico, dunque, non è più praticabile, non solo
al fine di evitare la frustrazione dei numerosi diritti meritevoli di tutela e
penalmente protetti che vengono in considerazione nell'ambito della
trasmissione a distanza di informazioni, ma ance per poter individuare i nuovi
orizzonti del diritto rendendoli futuri piuttosto che futuribili. Tutto ciò
anche nella consapevolezza che l'esigenza di "certezze" giuridiche,
tuttavia, non può portare ad una normativa che, con pretese di esaustività,
conduca a soffocare l'evoluzione dei sistemi telematici, o, addirittura, a
limitare diritti costituzionalmente garantiti.
Roma,
30 maggio 1999.
Maurizio
Aloise