Effetti del diritto comunitario sulle situazioni
giuridiche soggettive tutelate dal diritto amministrativo italiano
a cura del Dott. Maurizio
Sommario: Introduzione - L'amministrazione
ed i cittadini nel diritto comunitario - § 1.1 - La tutela dei
diritti fondamentali dei cittadini come principi fondamentali del diritto
comunitario - § 1.2 - L'integrazione tra il diritto comunitario ed il diritto
amministrativo italiano - § 1.3 - Verso una cittadinanza europea ed un diritto
amministrativo comuinitario - L'influenza del diritto comunitario sulle
situazioini giuridiche soggettive - § 2.1 - La qualificazione delle
situazioni giuridiche soggettive nel diritto comunitario - § 2.2 - Rilevanza
della qualificazione comunitaria nel diritto nazionale - § 2.3 - Le posizioni
giuridiche soggettive nel diritto amministrativo italiano - § 2.4 - I riflessi
del diritto comunitario sulla qualificazione dell'interesse legittimo - § 2.5 - L'amministrazione e i diritti
sociali - Il diritto comunitario e la tutela risarcitoria degli interessi
legittimi - § 3.1 - Diritti soggettivi comunitari ed interessi legittimi -
§ 3.2 - La tutela nel diritto interno di posizioni giuridiche fondate sul
diritto comunitario- § 3.3 - Interessi legittimi ed esigenza di piena tutela:
il problema della tutela risarcitoria - § 3.4 - La tutela risarcitoria degli
interessi legittimi - § 3.5 - La risarcibilità degli interessi legittimi in
materia di appalti pubblici - § 3.6 - L'interesse legittimo alla luce degli
Stati membri - § 3.7 - Il problema degli interessi diffusi in materia
ambientale - § 3.8 - Nuove tendenze del legislatore amministrativo italiano
sulla tutela degli interessi legittimi - Conclusioni
(estratto)
INTRODUZIONE
Nell'attuale
fase dell'integrazione comunitaria suscita particolare interesse affrontare la
problematica relativa agli "Effetti del diritto comunitario sulle
situazioni giuridiche soggettive tutelate dal diritto amministrativo
italiano" che costituisce il tema d'indagine del presenta lavoro.
L'argomento
si presta ad essere analizzato sotto diversi aspetti dei quali si cercherà di
cogliere le linee evolutive alla luce dei principi sui quali si regge
l'ordinamento comunitario nonchè di quelli sui quali si fonda il nostro diritto
amministrativo.
Sotto
quest'ultimo aspetto sarà affrontato il tema del rapporto tra amministrazione
pubblica e cittadini non solo per quelle situazioni giuridiche di derivazione
comunitaria ma anche analizzando il grado di incidenza del diritto comunitario
sulle più tradizionali posizioni di interesse legittimo riconosciute dal
diritto amministrativo italiano.
Si
avrà, pertanto, riguardo sia agli aspetti dell'amministrazione diretta a cui
gli organismi comunitari, e in particolare la Commissione, sono chiamati ad
attendere sulla base delle norme contenute nei Trattati e negli atti normativi,
date le modificazioni determinate dalla crescita progressiva delle funzioni
comunitarie e dei correlati adattamenti organizzativi, che sovente fanno
intravedere un avanzamento della componente intergovernativa sulla componente
sovranazionale; sia al coagularsi di un diritto amministrativo europeo per la
quale il riferimento principale è, invece, rappresentato da sistemi
amministrativi operanti, peraltro, in contesti ordinamentali ridisegnati dalla
integrazione tra diritto comunitario e diritti amministrativi nazionali.
Saranno,
dunque, affrontati i problemi di ordine generale posti nell'affrontare
l'influenza del diritto comunitario sulle situazioni giuridiche soggettive
tutelate dal diritto amministrativo italiano, che muovono in primis dalla
diversa qualificazione giuridica delle medesime nei rispettivi ordinamenti, per
poi trovare svolgimento nella considerazione delle esigenze di tutela di quelle
situazioni derivanti direttamente dal diritto comunitario.
Ciò
ci condurrà ad analizzare i più recenti interventi del legislatore italiano
nonchè i più recenti orientamenti della nostra giurisprudenza alla stregua
delle innovazioni introdotte dalle direttive comunitaria. Sul piano legislativo
sarà, dunque, analizzato il D.lgvo n.80/1999 (in materia di appalti pubblici o
forniture a rilevanza comunitaria) con il quale il legislatore ha compiuto una
decisa scelta nel senso del superamento del tradizionale sistema del riparto
della giurisdizione in riferimento alla dicotomia diritto soggettivo-interesse
legittimo, a favore della previsione di un riparto affidato al criterio della
materia. La disciplina introdotta dal suddetto decreto, infatti, ha inciso in
modo significativo sul tema della risarcibilità degli interessi legittimi, sia
sotto il profilo strettamente processuale, concernente il riparto delle
competenze giurisdizionali, sia sotto il profilo sostanziale, in quanto
coinvolge il generale tema dell'ambito della responsabilità civile ex art. 2043 c.c.
Sulla
scorta di tali innovazioni normative sarà posta, infine, l'attenzione sulla
recente pronuncia della Corte di Cassazione che nella sentenza a Sezioni Unite
22 luglio 1999, n.500, ha affermato la risarcibilità dell'interesse legittimo,
al pari del diritto soggettivo o di altro interesse (non di mero fatto ma)
giuridicamente rilevante, secondo le regole della responsabilità aquiliana ai
fini della qualificazione del danno come ingiusto. Ciò non equivale certamente
ad affermare la indiscriminata risarcibilità degli interessi legittimi come
categoria generale, ma la sentenza di legittimità consente di affermare che si
potrà pervenire al risarcimento soltanto se l'attività illegittima della
pubblica amministrazione abbia determinato la lesione dell'interesse al bene
della vita al quale l'interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del
suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di
protezione alla stregua dell'ordinamento.
In
tal modo, si potrà superare sia il problema legato all'esigenza di garantire la
piena effettività del diritto comunitario attraverso la tutela delle situazioni
giuridiche soggettive sulle quali esso incide a prescindere dalle diverse
qualificazioni giuridiche operate sulla scorta della disciplina propria di ogni
Stato membro; sia il problema legato, per l'appunto, alle difficoltà di
superare le difficoltà derivanti dal sistema di riparto della giurisdizione
esistente nel nostro ordinamento nonchè le incertezze interpretative
conseguenti agli stessi procedimenti di qualificazione giuridica sui quali esso
si basa.
L'amministrazione
ed i cittadini nel diritto comunitario
§
1.1 - La tutela dei diritti fondamentali dei cittadini come principi
fondamentali del diritto comunitario.
La
convivenza tra diritto amministrativo interno e diritto comunitario,
nell'attuale fase di integrazione Europea, pone all'interprete ed all'operatore
del diritto l'esigenza di stabilire la misura di incidenza dei principi accolti
dall'ordinamento comunitario sulle situazioni giuridiche soggettive contemplate
dal diritto amministrativo nazionale nonché l'ambito di rilevanza delle
situazioni soggettive di derivazione comunitaria, ossia il grado di
riconoscimento e, di conseguenza, il grado di tutela che tali situazioni debbano
ricevere dal giudice amministrativo italiano[i][1].
Nell'ordinamento
comunitario, infatti, pur in assenza nei Trattati istitutivi di uno Statuto dei
diritti fondamentali del cittadino, analogo a quello contemplato nelle
Costituzioni di molti Paesi membri, si sono affermati, in maniera quasi
irreversibile, importanti principi di tutela dell'individuo, ormai lontani
dall'originaria ottica essenzialmente produttivistica ed economicistica che era
alla base dei Trattati stessi[ii][2] e che aveva precluso ai fondatori della Comunità la
previsione "costituzionale" di un patrimonio di diritti più ampio
rispetto alle quattro libertà di mercato definite dai Trattati.
Tale
sviluppo è stato dovuto essenzialmente a due ordini di fattori: da un lato
all'operato della Corte di Giustizia delle Comunità Europee che in via pretoria
ha contribuito a rafforzare gli strumenti di tutela del cittadino nei confronti
non solo delle istituzioni comunitarie ma anche nei confronti delle singole
istituzioni nazionali; dall'altro alla progressiva convergenza delle
istituzioni nazionali e comunitarie verso un diritto amministrativo comunitario
compiuto dapprima attraverso il lento processo di armonizzazione delle
legislazioni amministrative dei vari Stati rispetto ai principi comunitari e
successivamente attraverso l'evoluzione del sistema amministrativo europeo[iii][3].
Sotto
quest'ultimo aspetto il tema del rapporto tra amministrazione pubblica e
cittadini nel diritto comunitario, dunque, richiede di essere esaminato secondo
due prospettive.
A)
Una prima prospettiva che abbia stretto riguardo al diritto comunitario stesso
e per la quale il discorso si venga svolgendo con riferimento esclusivo al
circuito delle istituzioni comunitarie. Qui l'analisi deve avere a riguardo
quel tanto di amministrazione diretta cui gli organismi comunitari, e in
particolare la Commissione, sono chiamati sulla base delle norme contenute nei
Trattati e negli atti normativi. Se si vuol tentare un approfondimento del
diritto europeo alla luce del diritto amministrativo e della funzione
esecutiva, struttura e compiti della Commissione si pongono, infatti, in primo
piano. Alla luce delle modificazioni determinate dalla crescita progressiva
delle funzioni comunitarie e dei correlati adattamenti organizzativi, che
sovente fanno intravedere un avanzamento della componente intergovernativa
sulla componente sovranazionale, ci si chiede se è configurabile un modello di
amministrazione comunitaria basato su propri principi, pur idonei a diffondersi
sulle singole amministrazioni degli Stati membri. La risposta sembra debba
essere positiva ove, da un lato, persistano come presupposti di fondo la
continuità tra potere normativo ed esecutivo e la sovranazionalità dell'intervento
comunitario e, dall'altro, si consolidino come principi chiave della funzione
pubblica l'indipendenza delle strutture, l'oggettività dei giudizi, la
razionalità e correttezza dei comportamenti, nonchè la capacità
tecnico-professionale[iv][4].
B)
Una seconda prospettiva che abbia riguardo al coagularsi di un diritto
amministrativo europeo per la quale il riferimento principale sia, invece,
rappresentato da sistemi amministrativi operanti, peraltro, in contesti
ordinamentali ridisegnati dalla integrazione tra diritto comunitario e diritti
amministrativi nazionali. Sotto tale profilo viene in considerazione la
crescente possibilità del diritto comunitario di influire sul diritto
amministrativo nazionale, resa possibile innanzitutto dal fatto che sono per lo
più gli organi cui spetta l'applicazione del diritto a dover dare esecuzione al
diritto comunitario[v][5], come si vedrà nel paragrafo seguente.
E
su questo piano va colta tanto l'incidenza del diritto comunitario sulle
situazioni giuridiche soggettive tutelate dal diritto amministrativo italiano,
quanto il ruolo del diritto amministrativo e soprattutto del giudice nazionale
in ordine alle posizioni soggettive riconosciute in via diretta dal diritto
comunitario.
Per
quanto riguarda, invece, l'altro fattore (riconducibile alla giurisprudenza
comunitaria) che ha favorito lo sviluppo di un sistema di protezione delle
situazioni giuridiche soggettive tutelate dal diritto amministrativo nazionale
per effetto dell'influenza della disciplina comunitaria, si rileva che ripetutamente
la Corte di Giustizia ha affermato l'esistenza fra i propri obblighi di tutela,
del dovere di salvaguardare i diritti fondamentali dell'individuo come tratti
dalle comuni tradizioni costituzionali degli Stati membri e dai trattati
internazionali per la difesa dei diritti umani, con particolare riguardo alla
Convenzione europea dei diritti dell'uomo, da considerarsi, quindi, come
principi fondamentali del diritto comunitario[vi][6].
Tanto
è vero che rispetto al "patrimonio collettivo" degli Stati membri
costituito dall'insieme dei generali principi posti a tutela dell'individuo, il
diritto comunitario attraverso la giurisprudenza della Corte di Giustizia, ha
finito per rappresentare un veicolo di sviluppo e approfondimento[vii][7].
Tale
principio, peraltro, ha trovato accoglimento nell'art. F delle disposizioni
comuni del Trattato sull'Unione europea che ha sancito l'obbligo dell'Unione di
rispettare i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione oppure
risultanti dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri <<in quanto
principi generali del diritto comunitario>>.
Alla
luce della giurisprudenza comunitaria, dunque, gli aspetti evolutivi delle
varie pronunce vanno collocati in una prospettiva sistematica con riguardo ai
più importanti precedenti di riferimento. In altre parole, attraverso l'analisi
delle sentenze della Corte di Giustizia è possibile cogliere il segno di una
evoluzione volta a valorizzare l'equilibrio tra la titolarità del diritto
individuale ed i limiti frapposti al suo esercizio in nome degli interessi
pubblici[viii][8].
Ma
il discorso sulla tutelabilità delle situazioni soggettive di origine
comunitaria non può certo prescindere dal problema della loro sovrapposizione
con le situazioni soggettive, soprattutto di carattere economico-patrimoniale
tutelate dagli ordinamenti interni nazionali a livello costituzionale[ix][9] ove si consideri che, come è stato affermato dalla
Cassazione - pur non escludendo posizioni di interesse legittimo e la loro
tutela in sede di giurisdizione generale di legittimità per effetto della
diretta applicabilità della normativa comunitaria - ai fini del riparto della
giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, la posizione
giuridica (diritto soggettivo o interesse legittimo) dedotta dal privato contro
la p.a. in virtù di norme comunitarie va individuata e qualificata con
esclusivo riferimento ai criteri dell'ordinamento giuridico interno e in base
al cosiddetto petitum sostanziale, a nulla rilevando che l'ordinamento comunitario
non contempli la distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi[x][10].
Ma,
come si vedrà, il diverso trattamento giurisprudenziale previsto nel nostro
ordinamento[xi][11] per la tutela di diritti soggettivi ed interessi
legittimi rischia di apparire inadeguato alla complessità delle pretese e delle
aspettative che sono connesse all'idea della cittadinanza comunitaria atteso
che da essa deriva l'esigenza di garantire l'effettività della loro tutela (ed
insieme ad essa del diritto comunitario stesso) al di là di ogni questione
inerente alla differente qualificazione giuridica.
Come
è noto, la Corte di Giustizia, chiamata a pronunciarsi su norme generali
vigenti in diverse materie, quali ad esempio la libera concorrenza o
l'ambiente, ha avuto modo di sottolineare l'importanza dell'effettività della
tutela dichiarando, ad esempio, che quest'ultima costituisce uno degli
obiettivi fondamentali della Comunità, come tale idoneo a giustificare talune
limitazioni al principio della libera circolazione delle merci.
Già
a partire dalla sentenza Stauder (1969)[xii][12] la Corte si è costantemente preoccupata di
salvaguardare i diritti fondamentali della persona, dichiarando che questi
ultimi costituiscono principi generali di diritto che la Corte applica
nell'ambito del diritto comunitario. Tanto è vero che, recentemente la Corte,
pur sottolineando che i diritti fondamentali non si configurano come
prerogative assolute, ma vanno considerati in relazione alla loro funzione
sociale con la conseguenza che ad essi possono essere apportate delle
restrizioni, ha precisato che in tanto ciò è ammissibile in quanto le suddette
restrizioni rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale
perseguiti dalla Comunità e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito,
un intervento sproporzionato ed inaccettabile, tale da ledere la sostanza
stessa dei diritti così garantiti[xiii][13].
Tuttavia,
non può non rilevarsi che - sebbene la rilevanza dei diritti dell'uomo sia
stata sottolineata in varie dichiarazioni, sia dagli Stati membri che dalle
istituzioni comunitarie, ed un esplicito riferimento all'esigenza di
rispettarne la realizzazione sia contenuto nel trattato sull'unione europea e
sebbene la tutela dei diritti fondamentali faccia parte integrante dei principi
generali di diritto dei quali la Corte garantisce l'osservanza - nessuna
disposizione del trattato attribuisce alle istituzioni comunitarie, in termini
generali, il potere di dettare norme in materia di diritti dell'uomo o di
concludere convenzioni internazionali in tale settore.
Nè
a tal fine può utilmente richiamarsi l'art. 235 del Trattato istitutivo della
CE[xiv][14], che riconosce alla comunità i poteri necessari al
raggiungimento degli scopi della Comunità stessa in materie per le quali
Trattato non attribuisce agli organi comunitari specifici poteri di azione[xv][15], posto che tale norma non può costituire il
fondamento per ampliare la sfera dei poteri della comunità al di là dell'ambito
generale risultante dal complesso delle disposizioni del Trattato ed in particolare
di quelle che definiscono i compiti e le azioni della Comunità. Ciò in quanto
l'adozione di disposizioni che condurrebbero, sostanzialmente, ad una modifica
del Trattato sfuggirebbe alla procedura di revisione all'uopo prevista nel
Trattato medesimo. Pertanto, una modifica in tal senso del regime della tutela
dei diritti dell'uomo nella Comunità le cui implicazioni istituzionali
risulterebbero parimenti fondamentali sia per la Comunità sia per gli Stati
membri rivestirebbe rilevanza costituzionale e, esulando per sua propria natura
dai limiti dell'art. 235, potrebbe venire realizzata unicamente mediante
modifica del Trattato[xvi][16].
Nel
campo del diritto amministrativo ciò si tradurrebbe nell'individuazione di
principi cui informare i rapporti tra l'amministrazione ed i cittadini, posti
al di là di una specifica competenza di rango costituzionale, con la
conseguenza che per determinare se un dato provvedimento sia o meno conforme a
tali principi occorrerà fare riferimento all'interesse delle istituzioni
comunitarie e degli Stati rispetto alla situazione giuridica soggettiva cui il
provvedimento si riferisce.
§
1.2 - L'integrazione tra il diritto comunitario ed il diritto amministrativo
italiano.
Il
tema dei rapporti tra p.a. e cittadini merita oggi di essere sottoposto a nuove
riflessioni, come conseguenza da un lato dell'evoluzione dell'ordinamento
comunitario, che accoglie ora, come si è visto nel paragrafo precedente, in
virtù del passaggio da "diritto del mercato comune" a diritto "propriamente
comunitario", la tutela dei diritti del cittadino come principi e valori
fondamentali, dall'altro della più stretta integrazione tra il diritto
amministrativo comunitario e i diritti amministrativi nazionali, che spinge
verso la formazione di un diritto amministrativo europeo nel quale viene
emergendo una sorta di diritto alla parità del cittadino verso la p.a., da
intendersi non tanto come uguaglianza di poteri, quanto piuttosto per un verso
come assenza di privilegi ingiustificati e per altro verso come uguale
opportunità di avvalersi del complesso dei poteri e delle facoltà che sono
ascrivibili alle rispettive sfere di autonomia[xvii][17].
Decisiva,
anche in tale direzione, è stata l'azione svolta dalla giurisprudenza della
Corte di Giustizia nella quale emerge con assoluta evidenza il ruolo
determinante svolto dai principi sostanziali del diritto amministrativo sovente
assunti, sulla base del riferimento ai principi comuni agli ordinamenti degli
Stati membri e riformulati dalla Corte nella sua azione di interpretazione e di
integrazione delle lacune del diritto comunitario, come principi generali
dell'ordinamento comunitario che operano come standard per l'agire delle
autorità pubbliche non solo nei confronti dell'attività dell'amministrazione
comunitaria ma anche delle stesse amministrazioni nazionali[xviii][18].
Se
si rivolge, infatti, l'attenzione all'ordinamento comunitario, si può rilevare
abbastanza agevolmente che esso sembra essersi indirizzato verso una
formulazione piena delle garanzie dell'individuo nei confronti
dell'amministrazione, quasi a creare le condizioni in tale ambito per una sorta
di "diritto alla parità" del cittadino verso la pubblica
amministrazione[xix][19].
Più
incerta, invece, appare l'azione di costruzione nell'ordinamento comunitario
delle garanzie del cittadino nei per quanto riguarda la protezione dei c.d.
diritti sociali, posto che in merito la Corte di Giustizia tende ad indugiare
su posizioni interpretative che finiscono per non conformarsi pienamente
all'affermazione di principio (dalla quale muove) per cui l'eliminazione delle
discriminazioni fa parte della tutela dei diritti fondamentali garantita dalla
Corte stessa[xx][20].
In
ogni caso non v'è dubbio che l'opera svolta dalla giurisprudenza comunitaria,
oltre a costituire un impulso al procedimento di integrazione, si sia rivelata
capace di svelare la stretta interferenza che per effetto del procedimento di
integrazione comunitaria è venuta a crearsi tra diritto comunitario e diritto
amministrativo italiano, ove si consideri che fino a non molti anni fa
prevaleva fra gli studiosi l'idea che il diritto amministrativo costituisse
un'enclave nazionale, immune da influenze esterne allo Stato.
Gli
studi apparsi in questi anni hanno dimostrato, invece, il progressivo sviluppo
delle relazioni fra gli ordinamenti nazionali e fra questi e l'ordinamento
della Comunità Europea[xxi][21]. In particolare, l'azione del diritto
amministrativo comunitario è apparsa importante sotto diversi profili. In primo
luogo, perché esso risulta, in sostanza, dall'assunzione di principi e istituti
sorti a livello nazionale, che vengono recepiti - con modificazioni - a livello
legislativo o giurisprudenziale. In secondo luogo, perché il diritto
amministrativo comunitario influenza, in vari modi, i diritti amministrativi
nazionali.
Attraverso
le modifiche apportate, o indotte, ad esempio, nelle regole relative ai
procedimenti contrattuali e a quelli di sovvenzione alla giustizia
amministrativa, può dirsi che il diritto comunitario operi non solo come agente
di cambiamento dei diritti amministrativi nazionali, ma come fattore propulsivo
del diritto amministrativo europeo[xxii][22].
Le
esigenze risultanti dalla protezione dei principi generali del diritto, quali
la protezione dell'aspettativa legittima, il divieto di discriminazioni, i
principi di proporzionalità e certezza giuridica, così come i diritti
fondamentali, quali il diritto di proprietà e di libero esercizio della
attività professionali, non impongono all'autorità nazionale competente sempre
un obbligo di accordare degli strumenti specifici di tutela[xxiii][23] anche se sussiste un generale obbligo di
<conformare> il proprio ordinamento alla direttive comunitarie per
effetto dell'esigenza di armonizzazione delle varie legislazioni[xxiv][24]. Di conseguenza la mancata adozione nei termini
prescritti dei provvedimenti necessari per conformarsi alle disposizioni delle
direttive comunitarie determina l'inadempimento degli organi nazionali rispetto
agli obblighi che incombono in forza del trattato CEE[xxv][25].
È
il caso, ad esempio, delle misure di protezione che il Consiglio adotti per il
conseguimento degli obiettivi di politica ambientale, ai sensi dell'art. 130 S
del Trattato, dove, nonostante l'eventuale misura di armonizzazione, resta
intatto il potere degli Stati di «mantenere e di prendere provvedimenti per una
protezione ancora maggiore», sulla base del successivo art. 130 T. Rispetto a tali provvedimenti, lo
Stato ha solo un onere di notifica alla Commissione, senza che sia previsto
alcun ulteriore intervento degli organi comunitari. Diversamente da quanto
accade nel settore del mercato interno, in questa ipotesi la misura di
armonizzazione e la più restrittiva norma nazionale hanno un identico obiettivo
di fondo: la protezione dell'ambiente.
Ciò
giustifica il diverso regime e, al contempo, fornisce un ulteriore elemento per
differenziare rispetto a questa disciplina gli strumenti finalizzati alla
realizzazione del mercato interno. Ma nel caso preso in considerazione la Corte
ha precisato che «uno Stato membro è autorizzato ad applicare le disposizioni
nazionali notificate solo dopo aver ottenuto una decisione di conferma da parte
della Commissione». La tesi veniva appunto giustificata con l'esigenza di
evitare che potesse venire vanificata unilateralmente l'opera di armonizzazione
delle legislazioni nazionali e, quindi, la realizzazione del mercato interno.
Questa
soluzione merita di venire confermata, nonostante l'assenza di precisi dati
testuali desumibili dall'art. 100 A, n.4. Se è vero che la norma utilizza il
verbo «confermare» per indicare il contenuto della decisione della Commissione,
è altrettanto vero che tale conferma è subordinata ad una «verifica» delle
disposizioni notificate e dei loro effetti rispetto al commercio fra gli Stati membri.
La verifica implica, necessariamente, la valutazione di tali effetti sul
funzionamento del mercato interno e solo dopo l'esito positivo di tale
controllo potrà farsi luogo all'applicazione delle norme nazionali. In caso
contrario, lo Stato diverrebbe unico gestore della clausola di salvaguardia,
potendo applicare comunque la propria disposizione nazionale una volta assolto
l'obbligo di notifica. Il risultato sarebbe quello di paralizzare il mercato
interno e, segnatamente, la libera circolazione delle merci sulla base di
scelte unilaterali verificabili esclusivamente a posteriori, con grave
compromissione delle aspettative degli operatori, in ultima analisi destinati a
confrontarsi con le scelte divergenti degli ordinamenti nazionali.
Si
pensi alla situazione in cui lo Stato tardi, magari sino all'ultimo giorno
utile per la trasposizione della direttiva nel proprio ordinamento nazionale, a
notificare alla Commissione le disposizioni maggiormente restrittive che
intende continuare ad applicare: in tal caso, accettando la soluzione
prospettata dagli Stati intervenuti nel procedimento, sarebbe inevitabile
l'applicazione delle disposizioni nazionali a scapito di quelle armonizzate,
con conseguente frammentazione dell'omogeneità giuridica che, al contrario, la
direttiva si proponeva di perseguire.
Per
quanto sia possibile giungere ad una simile soluzione interpretando la lettera
del n. 4 dell'art. 100 A, non va
dimenticato che quella disposizione si inserisce in un quadro normativo
coordinato che eleva ad obiettivo principale il conseguimento
dell'armonizzazione (art. 100 A, n. 1),
non certo la garanzia di misure derogatorie in favore degli Stati.
In
definitiva, come è stato rilevato dalla dottrina[xxvi][26], se è vero che la giurisprudenza richiamata con
riferimento alle garanzie dei diritti sociali nell'ordinamento comunitario vale
essenzialmente ad esprimere gli elementi costitutivi di una concezione
comunitaria dell'integrazione tra normative comunitarie e normative nazionali,
ciò costituisce un passo decisivo verso la costruzione di un diritto alla
parità tra cittadino e pubblica amministrazione che non solo si pone alla base
dell'armonizzazione tra le discipline amministrative dei vari Paesi ma, come si
vedrà nel paragrafo seguente, è divenuto il nucleo centrale nella costruzione
di un diritto amministrativo comunitario. Del resto, l'opera della Corte di
Giustizia e dei diversi giudici nazionali risulta determinante in questa
creazione soprattutto per quanto attiene proprio alla tutela del cittadino nei
confronti della pubblica amministrazione[xxvii][27].
Ciò
è facilmente comprensibile ove si consideri che la disciplina comunitaria, in
quanto investe in gran parte l'esercizio di poteri amministrativi (quali quelli
regolatori del mercato e della circolazione dei beni e dei servizi), implica
necessariamente attività di carattere amministrativo. Come si è visto, la
circostanza che detti poteri siano previsti dal diritto comunitario non ha
finora inciso sui criteri di riparto della giurisdizione[xxviii][28], ma non v'è dubbio che una volta accolti nei
tradizionali circuiti informativi della pubblica amministrazione le statuizioni
del diritto comunitario sono destinate a ripercuotersi sull'attività della
pubblica amministrazione assurgendo a parametro di legittimità di tali attività[xxix][29].
§
1.3 - Verso una cittadinanza europea ed un diritto amministrativo comuinitario.
Evidenziato
come, nel momento attuale, il problema centrale del dibattito sul processo di
integrazione tra diritto amministrativo comunitario e diritto amministrativo
nazionale appaia quello della definizione delle situazioni giuridiche
soggettive sulle quali direttamente o indirettamente il diritto comunitario è
destinato ad incedere, si ripresenta all'interprete il rinnovato dilemma
giudice ordinario-giudice amministrativo in vista della riforma del nostro
sistema di giustizia amministrativa nella prospettiva della nascita accanto ad
un sistema di diritto amministrativo comunitario (da intendersi come complesso
di organi comunitari preordinati a fissare i principi di armonizzazione delle
varie discipline nazionali) di un diritto amministrativo comunitario quale
fonte normativa di riferimento di nuovi poteri della pubblica amministrazione e
di riflesso di nuove situazioni giuridiche per i privati cittadini destinatari
di tali poteri[xxx][30].
Del
resto, con la previsione della "cittadinanza europea", la cui
istituzione giuridica è contenuta nel'art. 8a-e del trattato dell'Unione, sono
stati riconosciuti al cittadino di ogni Stato membro una serie di diritti (alla
libera circolazione, all'elettorato attivo, ecc.) la cui compiuta tutela ed il
cui svolgimento, non potendo rimanere rimessi alle sole limitazioni funzionali
imposte ai poteri amministrativi nazionali per via delle esigenze di
armonizzazione, dovrà trovare un punto di sicuro riferimento nell'ambito di
poteri amministrativi direttamente imputabili agli organi comunitari. Ciò non
significa che il diritto amministrativo comunitario possa (allo stato attuale)
tradursi in un complesso di norme secondarie che trovano applicazione per opera
degli organi amministrativi di una pubblica amministrazione comunitaria, poichè
trattasi del riconoscimento di un potere capace di porre dei principi destinati
ad essere attuati in modo vincolante dagli organi amministrativi nazionali[xxxi][31].
Basti pensare alle modifiche avvenute nel diritto amministrativo sostanziale degli anni Novanta e ai loro possibili effetti sull'ampliamento delle garanzie di tutela del cittadino nei confronti della p.a., delle garanzie partecipative nel procedimento amministrativo, del trattamento processuale della violazione dell'obbligo di motivazione del provvedimento e dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento: sono, questi, tutti aspetti che, pur in assenza di una riforma del processo amministrativo, trovano oramai riferimento nel diritto comunitario, la cui interpretazione innovativa, riferita ad alcuni dati di diritto positivo di recente introduzione, può offrire un contributo in una duplice direzione: rafforzare ed accrescere la tutela del cittadino e rendere anche il processo amministrativo funzionale allo sviluppo di meccanismi di recupero dell'efficienza dell'azione amministrativa
[1] Cfr. M.C. BARUFFI (1993), Sulla tutela dei diritti soggettivi comunitari, 230; P. BILANCIA (1991), Situazione soggettive di derivazione comunitaria e loro tutela, 615; R. CARANTA (1994), Intorno al problema delle individuazioni delle posizioni giuridiche sogg. del cittadino comunitario, 983; S. CASSESE (1993), L'influenza del diritto amministrativo comunitario sui diritti amministrativi nazionali, 329-342; E. PICOZZA (1991), Alcune riflessioni circa la rilevanza del diritto comunitario sui principi del diritto amministrativo italiano, 1209-1241; F.G. SCOCA (1990), Interessi protetti, 3; M. TIZZANO (1995), La tutela dei privati nei confronti degli stati membri della unione europea, 14 .
[2]
L'impostazione iniziale dell'ordinamento comunitario privilegiava
esclusivamente gli aspetti <<mercantili>> dell'integrazione favorendo
la liberalizzazione dei fattori produttivi: cfr. A. MASSERA (1993), L'amministrazione
ed i cittadini nel diritto comunitario, 19-48.
[3] Cfr. N.
MARZONA (1993), Lo sviluppo delle funzioni esecutive dell'amministrazione
comunitaria: un nuovo ruolo per la Commissione, 49-60. Tale processo è
avvenuto in maniera del tutto graduale posto che, come è noto, manca una
consistente normativa di parte generale che potesse fornire un corpo
concettuale intermedio tra la scarna intelaiatura fornita dai trattati istitutivi
e le categoria di discipline settoriali dettagliatamente rivolte ai cittadini
comunitari.
[4] A ben
vedere, ciò è riconducibile in primo luogo alla c.d. influenza
"orizzontale" esercitata dal diritto comunitario dal momento che
questo ha creato "una piattaforma", quale veicolo per il trapianto di
istituti da un diritto ad un altro, con l'ovvia conseguenza che è sorta una
categoria di principi comuni ai diversi Stati membri che sono entrati nel
patrimonio del diritto comunitario. Cfr. S. CASSESE (1993), L'influenza del
diritto amministrativo comunitario sui diritti amministrativi nazionali,
329.
[5] Cfr. E. KLEIN (1993), L'influenza
del diritto comunitario sul diritto amministrativo degli Stati membri, 685,
il quale, partendo dal rilievo che l'armonizzazione del diritto non è uno
strumento giuridico di cui la Comunità possa disporre a proprio piacimento,
rileva che solo l'ampliamento quantitativo delle competenze della Comunità
stessa ha fatto crescere le sue possibilità di intervento.
[6] Cfr. M.P. CHITI (1991), I
signori del diritto comunitario: la Corte di Giustizia e lo sviluppo del
diritto amministrativo europeo, 813. Non occorre dimenticare, avverte
l'Autore, come molti dei più rilevanti sviluppi siano derivati dal
riconoscimento del carattere precettivo delle clausole generali da taluno
considerate, erroneamente, dichiarazione meramente politiche.
[7] Cfr. A. MASSERA (1993), L'amministrazione
ed i cittadini nel diritto comunitario, 20, il quale rileva che la
convergenza tra ordinamento comunitario e ordinamenti nazionali si è tradotta
in un potente fattore di spinta che ha segnato il passaggio dal "diritto
del mercato comune", al "diritto comunitario", spostando
l'accento sulla tutela dei diritti del cittadino come principi e valori fondamentali.
[8] Cfr. F. SORRENTINO (1996), Profili
costituzionali dell'integrazione comunitaria, 28, secondo il quale sotto
l'attenta guida della Corte di Giustizia il sistema comunitario tende a porsi
come sistema para-federale, le cui norme prevalgono su quelle degli Stati
membri.
[9] Cfr. P. BILANCIA (1991), Situazione
soggettive di derivazione comunitaria e loro tutela, 615. Si pensi alla
differente tutela di situazioni qualificate come interessi legittimi rispetto a
quella accordata ai diritti soggettivi che trova fondamento nella differente
consistenza delle rispettive posizioni anche in relazione al diritto di azione
(art. 24 Cost.), alla presenza di una giurisdizione amministrativa (art. 103
Cost.), alla strutturazione della impugnabilità degli atti amministrativi (art.
113 Cost.).
[10] Cfr. Cass. civ., sez. un., 10
agosto 1996, n. 7410, in Giur. It., 1997, I,1, 606. Del resto, come si
vedrà, la stessa impostazione è seguita dalla Corte di Giustizia anche se
quest'ultima aggiunge, doverosamente, che ciò non potrà mai tradursi in una
menomazione dell'effettività della tutela concessa.
[11] E si aggiunga, solo nel nostro
ordinamento, posto che il sistema italiano di giurisdizione amministrativa,
basato su di una ripartizione oggettiva della competenza per la tutela delle
diverse situazioni soggettive e che comporta una riserva di protezione degli
interessi legittimi agli organi di giustizia amministrativa, è un sistema
originale di rilevante importanza storica.
[12] Sent. 12 gennaio 1969, causa
n.29/1969, Stauder c. Città di Ulm. In tale sentenza, la Corte, su questioni
sorte da remissioni di giudici germanici, si è trovata a dover dare una
risposta alle istanze di tutela dei diritti fondamentali nei confronti degli
atti comunitari, formalmente svincolati dall'obbligo del loro rispetto sancito
soltanto in sede nazionale.
[13] Cfr. Corte Giustizia Comunità
Europee, 17 ottobre 1995, n.44, in Riv. It. Dir. Pubbl. Comunitario,
1996, 1059. Ciò sulla base dell'affermato principio secondo cui i diritti
fondamentali che fanno parte dei principi generali del diritto comunitario non
si configurano come prerogative assolute, ma vanno considerati in relazione
alla loro funzione sociale. Nel caso deciso dalla sentenza de qua si
verteva in materia di esercizio del diritto di proprietà e al diritto di
esercitare liberamente un'attività professionale, in particolare nell'ambito di
un'organizzazione comune di mercato.
[14] A norma del quale "quando
un'azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento
del mercato comune, uno degli scopi della Comunità, senza che il Trattato abbia
previsto i poteri d'azione a tal uopo richiesti, il Consiglio deliberando
all'unanimità su proposte della Commissione e dopo aver consultato il
Parlamento europeo, prende le disposizioni del caso.
[15] Si tratta dei cc.dd. "poteri
impliciti" su cui cfr. A. GUARINO (1990), Mercato europeo dell'energia
e <<common carrier>>, 337-338.
[16] Cfr. Corte Giustizia Comunità
Europee, 28 marzo 1996, n.2. Per quanto attiene alla competenza della comunità
ad aderire alla Convenzione, nessuna disposizione del trattato attribuisce alle
istituzioni comunitarie in termini generali, il potere di dettare norme in
materia di diritti dell'uomo o di concludere convenzioni internazionali in tale
settore. Infatti, essa comporterebbe l'inserimento della comunità in un sistema
istituzionale internazionale distinto nonchè l'integrazione del complesso delle
disposizioni della convenzione nell'ordinamento giuridico comunitario.
[17] Cfr. A. MASSERA (1993), L'amministrazione
ed i cittadini nel diritto comunitario, 19-48. Anche a questo riguardo,
infatti, il ruolo svolto dalle determinanti comunitarie, nota l'Autore, è di
primaria importanza per la tendenza verso la costruzione di un diritto alla
parità tra cittadino e pubblica amministrazione.
[18] Ibidem Ciò si deve anche al fatto
che l'ordinamento comunitario sembra aver fatto propria, sia con riguardo
all'amministrazione diretta, sia con riguardo all'amministrazione indiretta
(ovvero quella facente capo agli Stati membri), una nozione forte di pubblica
amministrazione.
[19] Cfr. A. MASSERA (1993), L'amministrazione
ed i cittadini nel diritto comunitario, 25, il quale rileva che tale parità
è comunque da intendersi non tanto come uguaglianza di poteri, quanto piuttosto
come assenza di privilegi ingiustificati o come uguale opportunità di avvalersi
del complesso dei poteri e delle facoltà che sono ascrivibili alle rispettive
sfere di autonomia.
[20] Difficoltà confermate anche
nell'ambito dei negoziati che hanno portato alla conclusione del Trattato di Maastricht
dove la parte della disciplina riguardante la politica sociale non è andata al
di là della definizione di un semplice protocollo: cfr. M. DE LUCA (1990), Carta
comunitaria dei diritti sociali fondamentali: profili problematici e
prospettive, 129.
[21] Cfr. G. GRECO (1993), Il
diritto comunitario propulsore del diritto amministrativo europeo, 85-89.
[22] Ibidem. L'Autore rileva che il
diritto comunitario è un formidabile volano di omogeneizzazione delle varie
normative nazionali in un processo costante, da un lato, di assunzione nel
sistema comunitario di una normativa di buon livello tecnico e di concezione
progredita e, dall'altro lato, di ricaduta sotto varie forme di questo diritto
negli ordinamenti dei vari Stati membri.
[23] Cfr. Corte Giustizia Comunità
Europee, sez. VI, 15 febbraio 1996, n.63, in Riv. It. Dir. Pubbl.
Comunitario, 1996, 1078, che in applicazione del suddetto principio, nel
quadro dell'art. 3 n. 1, primo
trattino, del regolamento 857/84/Cee - ha negato l'obbligo di accordare dei
quantitativi specifici di riferimento ai titolari dei piani di sviluppo, anche
qualora tali piani fossero stati approvati dalle autorità competenti.
[24] Cfr. Corte Giustizia Comunità
Europee, 2 febbraio 1989, 22/87 Foro It. , 1992, IV, 22, con nota di M. DE
LUCA, che ha affermato: La repubblica italiana non ha adempiuto l'obbligo di
<conformare> il proprio ordinamento alla direttiva comunitaria n. 80/987
Cee del consiglio - concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli
stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di
insolvenza dei datori di lavoro - non avendo istituito <organismi di
garanzia>, volti ad assicurare la soddisfazione effettiva dei crediti per
retribuzione diretta, e non avendo previsto alcun sistema di <tutela> per
i diritti dei lavoratori subordinati (o loro superstiti) a prestazioni della
previdenza pubblica e dei regimi di previdenza complementare nel caso di
<insolvenza> del datore di lavoro.
[25] Cfr. Corte Giustizia Comunità
Europee, 2 febbraio 1989, 22/87, in Dir. Lav. , 1989, II, 156, con nota
di FOGLIA.
[26] Cfr. A. MASSERA (1993), L'amministrazione
ed i cittadini nel diritto comunitario, 37.
[27] Cfr. G. FALCON (1993), Alcune
osservazioni sullo sviluppo del diritto amministrativo comunitario, 76.
Resta però che gli ordinamenti, avverte l'Autore, amministrativi nazionali sono
le macchine applicative delle normative comunitarie anche se proprio per tale
motivo, data la diversità (nei loro profili tanto di diritto sostanziale quanto
di diritto processuale) di queste macchine nei diversi ordinamenti, assume
valore l'intervento della Corte di Giustizia onde evitare che temibili
differenze di applicazione delle identiche normative.
[28] Cfr. FILIPPI (1993), La
giurisprudenza amministrativa a contenuto comunitario, 1183, che rileva
tuttavia, come tale principio (da cui l'irrilevanza della natura comunitaria
della controversia sulla questione dell'individuazione della posizione
giuridica soggettiva coinvolta) non derivi affatto da una espressa riserva di
competenza a favore degli Stati membri.
[29] Cfr. F.G., SCOCA (1990), Contributo
alla figura dell’interesse legittimo, 34.
[30] Cfr. A. ZITO (1997), Tendenze
della giustizia amministrativa negli anni Novanta e prospettive di riforma,
237-251.
[31] Cfr. CASSESE (1991), I
lineamenti essenziali del diritto amministrativo comunitario, 1.
[32] Cfr. A. ZITO (1997), Tendenze
della giustizia amministrativa negli anni Novanta e prospettive di riforma,
237-251.
[33] Cfr. FILIPPI (1993), La
giurisprudenza amministrativa a contenuto comunitario, 344.
[34] Ivi comprese quelle derivanti
dalle direttive non recepite, cui sono riconosciuti, dopo la scadenza del
termine per il recepimento effetti diretti nelle relazioni tra Stati membri
destinatari e cittadini: cfr. A.I. ADINOLFI (1994), I principi generali
nella giurisprudenza comunitaria e la loro influenza sugli ordinamenti degli
stati membri, 521-556.
[35] Cfr. A. MASSERA (1993), L'amministrazione
ed i cittadini nel diritto comunitario, 43.