Alcune
considerazioni in materia di sciopero nei servizi pubblici essenziali
a cura del Dott. Maurizio
Aloise
Dall’esperienza oramai quasi
decennale della Commissione di Garanzia per l'attuazione della legge sullo
sciopero nei servizi pubblici essenziali emerge chiaramente come il problema delle sanzioni abbia assunto nella disciplina
dello sciopero nei servizi pubblici essenziali recata dalla legge 12 giugno
1990, n.146, un aspetto policentrico per la rilevanza delle sanzioni a carico
dei soggetti collettivi e dei datori di lavoro nonchè di quelle per
l’inosservanza dell’ordinanza di precettazione.
Nel contempo è emerso che uno dei punti critici della disciplina
limitativa del diritto di sciopero, come è stato più volte segnalato nelle
relazioni della Commissione di Garanzia, sia proprio la debolezza del sistema
sanzionatorio poichè le misure afflittive previste risultano da una parte, sperequate
tra le parti, costituendo un serio deterrente solo per le
organizzazioni sindacali, e dall’altra sfornite di un adeguato potere di
accertamento della Commissione che ne garantisca l’effettiva applicazione in
caso di valutazione negativa dei comportamenti.
La legge, infatti,
tipizzando i comportamenti conflittuali, ha introdotto una nuova
classificazione degli illeciti, che assumono rilievo non soltanto per i singoli
scioperanti, per i quali la sanzione disciplinare discende legittimamente dal
fatto che il lavoratore è venuto meno ad un obbligo già implicito nel rapporto
contrattuale, ma anche per i soggetti sindacali promotori degli scioperi. Per questi ultimi l'attribuzione del potere sanzionatorio
alle amministrazioni ed agli enti erogatori dei servizi pubblici ha implicato
il riconoscimento di una sua funzionalizzazione all'interesse pubblico che
assume il connotato della obbligatorietà, in quanto strumentale alla sola
salvaguardia dei diritti degli utenti. Non a caso la Corte costituzionale, nella
sentenza 24 febbraio 1995 n.57, che ha sancito la necessità della preventiva
valutazione della Commissione di Garanzia quale condizione autorizzatoria per
l'esercizio del potere sanzionatorio nei confronti dei sindacati, ha affermato
chiaramente
che questo potere datoriale non è discrezionale, escludendone la
riconducibilità agli interessi aziendali in quanto unicamente "strumentale
alla salvaguardia delle finalità limitative dello sciopero", volute dalla
legge per garantire i servizi minimi essenziali.
Nell'ambito di questo orientamento, la Commissione ha affrontato, con
varie delibere, sia i problemi di efficienza dell'apparato sanzionatorio, anche
al fine di colmare talune lacune legislative già in precedenti relazioni
segnalate, sia la questione dell'effettività delle sanzioni, promuovendo una
indagine conoscitiva sulla loro concreta applicazione.
Sotto questo secondo
aspetto, dai primi risultati di un’indagine conoscitiva, condotta su un
campione significativo di imprese e amministrazioni erogatrici di servizi
pubblici essenziali in ordine all’applicazione delle sanzioni collettive
conseguenti a delibere di valutazione negativa dei comportamenti delle
organizzazioni sindacali [ex art.13, lett. c), L 146/1990], è emerso, infatti,
che in molti casi le imprese e le amministrazioni (fra cui le Ferrovie dello
Stato, la Telecom, la Rai, l’Ente Poste), non applicano le sanzioni a carico
delle organizzazioni sindacali o addirittura le irrogano, in base a valutazioni
arbitrarie dei datori di lavoro, nei confronti solo di talune associazioni
sindacali (così ad es. nel caso della Società Aeroporti di Roma che ha dato
applicazione solo alle delibere della Commissione dirette ai sindacati
rappresentativi di microcategorie).
In proposito, va segnalato
che nel testo della legge 146/90 manca una esplicita previsione sulle
conseguenze afflittive a carico del datore che ometta, eventualmente, di
irrogare le sanzioni nei riguardi dei soggetti collettivi.
I dati emersi hanno indotto
la Commissione ad intervenire con una delibera di indirizzo (n.97/167 del 10
aprile 1997) in cui ha riaffermato i principi contenuti nella sentenza della
Corte Costituzionale n.57/1995 secondo i quali il potere sanzionatorio di cui
all’art.4, commi 2 e 3 deve ritenersi strumentale alla salvaguardia delle
finalità limitative dello sciopero e pertanto collegato alla tutela di
interesse pubblico. La discrezionalità del datore di lavoro in ordine
all’applicazione delle sanzioni a carico delle organizzazioni sindacali, ha
ricordato la Commissione, deve ritenersi limitata dall’intervento della
Commissione stessa spettando solamente a questa il compito di valutare
negativamente il comportamento e segnalare tale valutazione ai fini
dell’applicazione delle sanzioni. Ne consegue che il datore di lavoro, quando
sia intervenuta una delibera di
valutazione negativa accompagnata da una segnalazione a fini sanzionatori deve
necessariamente procedere (trattandosi di atto dovuto) ad irrogare le relative
sanzioni e nel contempo fornire alla Commissione una completa informazione sui
procedimenti sanzionatori e sul loro esito.
Un ulteriore limite che ha
segnato l’operatività dell’apparato sanzionatorio della L 146/1990 è scaturito
dall’abrogazione referendaria dei commi 2 e 3 dell’art.26 della legge n.300 del
1970, a cui faceva riferimento l’art.4, comma 2 L 146/1990 nel prevedere la
sospensione dei benefici patrimoniali consistenti nel diritto delle
organizzazioni sindacali di riscuotere i contributi mediante trattenuta. Nella
seduta del 17 aprila 1997 (delibera n.97/271) la Commissione ha adottato una
delibera di indirizzo nella quale si evidenzia, da una parte che il menzionato
comma 2 dell’art.26 L 300/1970 non operava all’interno di tutte le imprese, in
virtù della limitazione del campo di applicabilità del titolo III della stessa
legge (disposta dal comma 1 del successivo art.35), e dall’altra che lo stesso
comma 2 del citato art.26 rinviava a sua volta alle modalità stabilite dai
contratti collettivi di lavoro con la conseguenza che, nel sistema regolato
dalle abrogate norme statutarie, alle previsioni contrattuali si conferiva una
funzione sostanzialmente integrativa (di specificazione delle modalità di
versamento da parte dei lavoratori) e il contratto collettivo assumeva,
comunque, il ruolo di medium
normalmente necessario per l’effettività del diritto conferito alle
organizzazioni sindacali. Da ciò deriva che la vicenda referendaria ha inciso
sulla normativa in questione eliminando la base legale di quel diritto e del
correlativo obbligo di intermediazione per restituire la materia all’autonomia
privata individuale o collettiva.
Peraltro, la Commissione di
Garanzia ha rilevato che, alla luce della stessa ratio dell’art.4, oggetto della sanzione che colpisce i sindacati
sono i benefici economici di cui all’art.26 dello Statuto dei lavoratori
(quindi i contributi sindacali) e pertanto le modalità attraverso le quali i
benefici vengono acquisiti avevano rilievo solo in quanto vedevano il datore di
lavoro come obbligato ex lege a dare
applicazione al meccanismo di riscossione dei contributi. L’abrogazione
referendaria dei commi 2 e 3 dell’art.26 dello Statuto dei lavoratori ha,
quindi, restituito all’autonomia privata la disciplina del rapporto tra
sindacato e datore di lavoro, con ciò comportando solamente che nel mutato
contesto normativo è il contratto collettivo a divenire presupposto
dell’obbligo di versamento da parte del datore di lavoro all’INPS nell’ipotesi
di applicazione della sanzione collettiva ex art.4 comma 2 della legge 146,
analogamente a quanto già rinviavano le norme regolamentari.
In conclusione, dall’analisi
sin qui esposta si evince che debbono essere posti all’attenzione del
legislatore tre gravi difetti del sistema sanzionatorio: (a) l’inapplicabilità
delle sanzioni previste dalla legge a soggetti sindacali non titolari dei
diritti di cui agli art. 23 e 26 dello statuto dei lavoratori; (b) la mancata
previsione da parte della legge di poteri sanzionatori nei confronti dei datori
di lavoro (imprese e pubbliche amministrazioni erogatrici di pubblici servizi
essenziali) che non abbiano adempiuto agli obblighi ad esse imposti dalla legge
n. 146/1990; (c) l’abrogazione, a seguito di referendum, dell’art. 26, comma 2,
dello statuto dei lavoratori e, con essa, il venir meno del sistema legale di
riscossione dei
contributi sindacali mediante trattenuta operata dal datore di lavoro sulla
retribuzione del lavoratore (su delega di quest’ultimo).
Per quanto riguarda le
inadempienze datoriali, nella seduta del 9.1.1997 (verbale n. 250) la
Commissione ha deciso di prendere in esame caso per caso le inadempienze da
parte dei datori di lavoro degli obblighi loro imposti dalla legge n. 146/1990
(in particolare, la mancata o difettosa comunicazione all’utenza della
proclamazione degli scioperi nonché dei servizi che verranno effettivamente
assicurati), sia di propria iniziativa, sia a seguito di segnalazione da parte
di utenti o di organizzazioni sindacali. Dei casi di inadempienze ritenuti più
gravi, la Commissione si è riservata di dare informazione ai Presidenti delle
Camere, ai sensi dell’art. 13, lett. e), l. n. 146/1990. Questo orientamento
della Commissione ha trovato applicazione, ad esempio, nella delibera n. 97/145
(verb. n.256 del 13.2.1997 - Ferrovie dello Stato/Cgil-Cisl-Uil-Cisal), nella
quale la Commissione ha affermato che non si possono riversare sugli utenti gli
effetti di dinamiche delle relazioni tra le parti su materie negoziali e che
pertanto l'attivazione dell'azienda nel dare informazioni utili agli utenti non
deve avvenire in modo tardivo, o insufficiente a fornire un quadro dettagliato
della situazione e a scongiurare gravi disagi agli utenti stessi.
Con riferimento alla
valutazione di scioperi che sono stati oggetto di un’ordinanza di precettazione
ex art. 8 l. 146/90, infine, la Commissione, ha inizialmente ritenuto che le
eventuali censure di illegittimità della proclamazione fossero in ogni caso
superate dall’avvenuta precettazione, procedendo pertanto ad una valutazione
non negativa della stessa. Successivamente ha avuto modo di tornare sul punto,
specificando (con la direttiva interna di organizzazione sulla attività
valutativa n. 98/171 del 26 marzo 1998) che "ove le modalità
dell’astensione collettiva dal lavoro non rispettino le regole vigenti nel
settore nel quale tale astensione è stata proclamata, il fatto che l’astensione
medesima non si sia verificata, a causa dell’emanazione dell’ordinanza di
precettazione, non elimina i vizi di una proclamazione irregolare".
Pertanto, nei casi in cui sia
intervenuta la precettazione, la Commissione ha deliberato di procedere
ugualmente alla apertura del procedimento di valutazione del comportamento
delle organizzazioni sindacali che nella proclamazione dello sciopero non
abbiano rispettato le regole vigenti nel settore, riservandosi di esprimere una
valutazione negativa in tutti i casi nei quali il comportamento dei soggetti
sindacali sia stato idoneo a produrre un’illecita compressione dei diritti
degli utenti.
Ciò non toglie che la concreta applicazione, dal 1990 ad oggi, della
legge n.146 del 1990, ne ha manifestato, tuttavia, alcuni limiti, evidenziando
l'opportunità di procedere ad un rafforzamento delle misure previste allo scopo
di assicurare una migliore tutela alle esigenze collettive coinvolte, magari
con una nuova disciplina delle sanzioni applicabili nelle ipotesi di violazioni
delle disposizioni legislative che preveda importi e categorie diverse di
sanzioni a seconda che il soggetto attivo si identifichi con il lavoratore, con
le organizzazioni o con i comitati di lavoratori, con i preposti al settore o
con le amministrazioni o con le imprese erogatrici di servizi. Di particolare
importanza sarebbe l'attribuzione in capo alla
Commissione del potere di irrogare la sanzione prevista, nonché dalla
sostituzione con sanzioni pecuniarie amministrative delle diverse categorie di
sanzioni in precedenza contemplate. Nelle ipotesi di violazioni commesse dai
preposti al settore sarebbe, inoltre, opportuno attribuire alla Commissione
anche il potere di disporre la pubblicazione del provvedimento con cui è
irrogata la sanzione amministrativa: il ricorso alla sanzione accessoria, in
tale ipotesi, è giustificato dalla frequenza delle violazioni degli obblighi di
comunicazione attualmente riscontrata.
Considerato che alla Commissione si addice anche il ruolo di organo che
attua il tentativo di conciliazione, qualora ravvisi la possibilità di una
composizione del conflitto, l'ordinanza di precettazione già prevista dalla
legge n. 146 del 1990, riservata all'ipotesi che il tentativo di conciliazione
abbia esito negativo ed esista un fondato pericolo di un pregiudizio grave ed
imminente ai diritti della persona costituzionalmente garantiti, dovrebbe
essere adottata dopo aver sentito la
Commissione di garanzia, oltre alle autorità già individuate dal testo vigente.
La finalità dell'ordinanza di precettazione rimarrebbe quella di garantire le
prestazioni indispensabili per contemperare l'esercizio del diritto di sciopero
con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente garantiti, ma con
la novità che essa dovrebbe conformarsi alla proposta formulata dalla
Commissione in merito alle prestazioni da considerare indispensabili o, in
mancanza di questa, alle misure individuate dalle parti ai sensi del comma 2
dell'articolo 2 della legge n. 146 del 1990.
Infine, sarebbe anche opportuno ampliare le funzioni della Commissione
di garanzia attribuendo ad essa il potere di applicare direttamente le sanzioni
con la conseguente necessità di dotare di un maggior organico e di maggiore
risorse la Commissione stessa che già allo stato delle attuali competenze
lamenta una situazione non di certo totalmente efficiente.
In questa prospettiva sembra muoversi un recente proposta di legge
(C.5518) presentata alla Camera dei Deputati
il 16 dicembre 1998 ed assegnata alla data del 22 gennaio 1999 alla Commissione
Lavoro pubblico e privato in sede referente che, non ha ancora iniziato
l'esame.
Roma, gennaio 1998.
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