Rapporti di agenzia e
parasubordinazione
a cura del Dott. Maurizio Aloise
Sommario Introduzione: Lavoro parasubordinato e
ordinamento giuridico: § 1. Il "lavoro" nel quadro dei principi
costituzionali - § 2. La prestazione lavorativa nel codice civile del 1942 - §
3. Il lavoro parasubordinato ed il suo difficile inquadramento sistematico tra
autonomia e subordinazione- § 4. Il problema della qualificazione giuridica del
rapporto di agenzia e l'autonomia negoziale delle parti. - § 5. Le nuove
frontiere del lavoro parasubordinato . - Le caratteristiche del rapporto di
agenzia e l'art.409 c.p.c. - § 1. Il rapporto di agenzia ed il dato
testuale dell'art.409, n.3, c.p.c.
- § 2. I requisiti di cui all'art.409
c.p.c.: a) La continuità della prestazione lavorativa. - § 3. segue: b) La
coordinazione della prestazione lavorativa. - § 4. segue: c) La prevalenza
della prestazione personale: criterio oggettivo e soggettivo. - §
5. Il coordinamento con l'art.1742 c.c. - Le fattispecie concrete della
parasubordinazione - § 1. Il lavoro parasubordinato nei contratti di
distribuzione commerciale (agenzia, rappresentanza, mediazione, franchising) -
§ 2. Il lavoro parasubordinato nei contratti associativi (cooperative di lavoro
e associazione in partecipazione). - § 3. Attività professionale e lavoro
parasubordinato: in particolare il personale medico e paramedico - § 4. Altre
fattispecie di lavoro parasubordinato - La disciplina della
parasubordinazione - § 1. Le esigenze di tutela del lavoro in tutte le sue
forme nel quadro costituzionale. - § 2. La questione dell'individuazione delle
norme di diritto del lavoro applicabili alla parasubordinazione. - §
3. L'incidenza dell'art.409 c.p.c. e l'applicazione della disciplina speciale
sul rito del lavoro. - § 4. La disciplina di diritto sostanziale: a) l'obbligo
di diligenza del lavoratore parasubordinato - § 5. (segue) b) L'estinzione del
rapporto di lavoro - § 6. (segue) c) Gli aspetti contributivi e previdenziali -
§ 6. (segue) d) L'orario di lavoro - § 7. (segue) d) Parasubordinazione e
corrispettivo nel lavoro parasubordinato - Conclusioni - Bibliografia
(estratto)
Il
contratto agenzia trova il riconoscimento legislativo con la definizione
contenuta nell’art.1742 c.c. Nella sua tipicità, esso è destinato ad attuare,
con carattere di stabilità (nel senso di un incarico riferito a tutti gli
affari possibili con esso previsti), una collaborazione professionale autonoma
(promozione, verso corrispettivo, della conclusione di affari tra preponente e
terzi nell'ambito di una determinata zona), che si concreta in un risultato
posto in essere dall'agente a proprio rischio e con l'obbligo naturale di
osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute
dal preponente[1]. Il
contratto di agenzia è caratterizzato da un complesso di elementi, quali
l'attribuzione del rischio economico, la stabilità dell'incarico, l'autonoma
organizzazione nell'espletamento della propria attività, la promozione verso
corrispettivo della conclusione di affari tra preponente e terzi nell'ambito di
una determinata zona; né la causa di tale contratto viene mutata da prestazioni
accessorie poste convenzionalmente a carico dell'agente; tali elementi devono
essere accertati nel merito e se correttamente e logicamente motivati sfuggono
al sindacato di legittimità[2].
Diverse
sono le questioni giuridicamente rilevanti sottoposte all’attenzione della
giurisprudenza e della dottrina in riferimento a tale tipo di rapporto.
Variamente dibattute sono, infatti, alcuni caratteri di esso in ordine
all’autonomia ed alla stabilità dell’agente, alla forma del contratto, e via
dicendo, ma quel che maggiormente interessa sono
gli elementi distintivi del rapporto di agenzia rispetto ad altri tipi di
rapporto in particolare rispetto al rapporto di lavoro subordinato. Sotto
questo ultimo aspetto, l’argomento offre lo spunto per rimeditare i tratti
caratteristici della parasubordinazione, che ancora oggi si trova al centro di
un acceso dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza. Ciò in quanto nel delineare
i tratti distintivi tra la collaborazione coordinata e continuativa ed il
vincolo di subordinazione proprio del rapporto di lavoro, ci si trova al centro
di un crocevia del diritto del lavoro che, nell’attuale fase di trasformazione
sociale ed economico-produttiva, si interroga sull’ambito della tutela
giuslavoristica e conseguentemente sulle ragioni di un sistema che a fronte di
una lunga prassi giurisprudenziale concernente la qualificazione come
subordinati ed autonomi dei rapporti di lavoro, vive un stagione ricostruttiva
ad opera della dottrina che avanza con varie argomentazioni sull’essenza della
parasubordinazione sia per ciò che concerne i suoi aspetti sostanziali che per
quel che riguarda i suoi risvolti processuali. La controversia relativa ad un
rapporto di agenzia, infatti, appartiene ai sensi dell’art.409 c.p.c., alla
competenza per materia del Pretore in funzione di giudice del lavoro solo
quando detto rapporto si concreta in una prestazione d’opera continuativa e
coordinata prevalentemente personale ben potendo lo stesso rapporto svolgersi
sotto forma di gestione di impresa autonoma quando l’agente abbia organizzato
la propria attività con criteri imprenditoriali tali da far concludere che egli
si limiti ad organizzare e dirigere i suoi collaboratori senza limitarsi a
svolgere una collaborazione meramente ausiliaria all’attività altrui[3].
Quel
che emerge da una sommaria ricognizione della giurisprudenza è innanzitutto la
circostanza che la discriminazione essenziale tra rapporto di agenzia e
rapporto di lavoro subordinato non è costituita dalla sottoposizione alle
direttive altrui, che è elemento presente nell'uno e nell'altro rapporto, ma
dal rischio, che è totalmente a carico dell'agente, con la conseguente
inconfigurabilità di un rapporto di agenzia nel caso di prestazione di attività
compensata con retribuzione fissa[4].
Per
contro, non è configurabile un rapporto di lavoro subordinato nel caso in cui
un soggetto abbia prestato la propria attività di produzione di affari a favore
di un imprenditore senza effettivo vincolo di subordinazione, né inserzione
nell'organizzazione aziendale, e con piena autonomia quanto al tempo, alla
quantità di lavoro, all'ordine da seguire nella ricerca e nella trattazione
delle compravendite con commisurazione del compenso all'attività svolta
(provvigioni)[5].
Il
requisito del carattere prevalentemente personale dell'attività dell'agente -
con conseguente riconducibilità del rapporto nello schema della
parasubordinazione ai sensi dell'art.409 n. 3 c.p.c. - è configurabile anche
nel caso in cui il preposto associ alla propria prestazione personale di agente
una ulteriore prestazione, costituita dall'attività di coordinamento di altri
agenti dello stesso preponente (ai cui scopi è funzionale tale ulteriore attività)
e compensata con una percentuale sulle provvigioni dovute agli agenti
coordinati[6].
L'elemento
essenziale e caratterizzante del rapporto di agenzia si sostanzia nella
realizzazione da parte dell'agente di una attività economica organizzata, rivolta
ad un risultato di lavoro che questi svolge autonomamente nell'interesse e per
conto, ed eventualmente anche in nome, del preponente cui compete il limitato
potere di impartire all'agente istruzioni generali di massima, oltre il diritto
di pretendere ogni informazione utile per la valutazione della convenienza dei
singoli affari, ricadendo il rischio economico e giuridico della attività
suddetta esclusivamente sull'agente medesimo e differenziandosi perciò tale
rapporto da quello di lavoro subordinato, del quale è elemento essenziale la
prestazione di energie lavorative con soggezione al potere direttivo del datore
di lavoro e nell'ambito di una organizzazione di cui il rischio ed il risultato
fanno capo esclusivamente a quest'ultimo, con conseguente irrilevanza, ai fini
della riconduzione ad una determinata fattispecie, all'uno o all'altro
rapporto, di elementi marginali quali l'orario di lavoro e l'appartenenza dei
mezzi o strumenti di produzione all'una o all'altra delle parti contraenti[7].
Sono
pur sempre individuabili gli elementi essenziali del rapporto di agenzia
(risultato e rischio) quando l'agente abbia accettato, nella promozione di
contratti per conto del preponente, di essere retribuito a provvigione,
mediante acconti soggetti a conguagli semestrali in correlazione agli affari
che abbiano avuto regolare esecuzione, di rispondere dello <star del
credere>, che lo coinvolge nelle perdite relative agli affari fatti
concludere, di assumersi le spese necessarie allo svolgimento della propria
attività, anche qualora il risultato sia prevalentemente frutto dell'attività
personale dell'obbligato o l'organizzazione dei mezzi necessari sia ridotta al
minimo, potendosi esplicare nella mera adozione di metodi di lavoro idonei alla
utilizzazione più proficua della propria attività lavorativa[8].
Il
contratto di agenzia, inoltre, ha per oggetto il conferimento, a rischio
dell'agente, di un'attività economica autonomamente organizzata, rivolta al
conseguimento di un risultato di lavoro e vincolata al preponente da uno
stabile rapporto di collaborazione; in ciò essenzialmente si differenzia dal
contratto di lavoro, il quale ha ad oggetto la prestazione di un'energia
lavorativa in regime di subordinazione e nell'ambito di un'organizzazione il
cui rischio e risultato fanno capo esclusivamente al datore di lavoro;
l'esercizio da parte del preponente di un controllo amministrativo e tecnico
sull'agente, giustificato dall'obbligo di quest'ultimo di adempiere l'incarico
affidatogli in conformità alle istruzioni ricevute, non altera il rapporto di
agenzia, ove non incida sull'indicata autonomia dell'organizzazione
professionale dell'agente e sull'assunzione del relativo rischio[9].
Infine,
occorre precisare che le soluzioni proposte dalla dottrina in via generale
dovranno essere ponderati in relazione ai diversi tipi di rapporti di agenzia
che possono in concreto presentarsi nella pratica ciascuno caratterizzato dagli
elementi essenziali del rapporto di agenzia ma pur sempre con propri tratti
caratteristici che ne rendono difficile un trattamento unitario.
Lavoro parasubordinato e
ordinamento giuridico
§ 1. Il "lavoro"
nel quadro dei principi costituzionali.
Il
lavoro viene inteso in senso classico come una necessità che fa parte della
natura stessa dell'uomo che per conservare se stesso e la società di cui è
membro esplica in tal modo le funzioni indispensabili alla sopravvivenza. Ciò
spiega il motivo per cui l'organizzazione sociale, nella nostra cultura, si è
strutturata in modo da conservare e perpetuare i benefici di quanto acquisito
dalle generazioni passate ed elaborare una suddivisione dei compiti che
consenta il soddisfacimento dei complessi bisogni del singolo attraverso il
lavoro[10].
Sotto
il profilo strettamente giuridico, tuttavia, è indispensabile porre l'attenzione
sulla posizione preminente che il lavoro assume nel quadro dei valori accolti
nella nostra Costituzione. In questa prospettiva, come avverte la dottrina, è
innanzitutto necessario soffermarsi sul significato che il termine
"lavoro" assume in varie norme della Carta costituzionale, giacché,
come è noto, questa, uniformandosi a quel processo di socializzazione del
diritto destinato a caratterizzare tutte le costituzioni del dopoguerra,
attribuisce massima rilevanza al lavoro, al punto da porlo a fondamento della
Repubblica. L'art.1, infatti, recita: <<L'Italia è una Repubblica
democratica fondata sul lavoro...>>. Ebbene, con le parole "fondata
sul lavoro" è lecito ritenere che il costituente abbia voluto proprio
sottolineare uno dei compiti più importanti dello Stato, ossia quello di
tutelare e valorizzare il lavoro, in tutte le sue forme, quale strumento
indispensabile per consentire all'individuo di partecipare
<<all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese>>
(art.3 Cost.) nonchè al <<progresso materiale o spirituale della
società>> (art.4 Cost.). Il lavoro di cui parla l'art.1 Cost., dunque,
deve essere inteso in riferimento a qualsiasi tipo di attività che in qualche
modo risulti utile alla società e sia potenzialmente capace di arricchire la
personalità propria ed altrui[11].
In questa prospettiva, come si vedrà, l'interprete e il legislatore, che nella
Costituzione dovranno sempre rinvenire, rispettivamente, il fondamento della
lettura di qualsiasi norma sottoposta alla sua opera ermeneutica e la ratio di ogni intervento normativo[12],
non potranno rimanere insensibili di fronte alle esigenze di tutela di ogni
nuova forma di lavoro che, con il progredire del sistema produttivo, si
presenti al di fuori degli schemi tradizionali accolti nel sistema vigente.
L'art.1
Cost. non è l'unica norma in cui il costituente esprime un riconoscimento di
così elevato valore al lavoro, giacché, come diritto dell'individuo e interesse
della società, esso è tutelato, come si vedrà, da numerose altre norme[13].
Innanzitutto, va subito precisato che, come emerge dalla lettura delle norme
sin qui richiamate, nel quadro dei valori fondamentali della Costituzione, il
lavoro, in tutte le sue forme, essendo, come si è detto, il mezzo attraverso il
quale ogni uomo esprime il proprio diritto a collaborare attivamente alla
costruzione della società in cui vive[14],
va considerato non solo un diritto ma anche un dovere[15].
Ciò, in quanto, quale mezzo per consentire all'individuo lo svolgimento della
sua personalità e la partecipazione allo sviluppo della società, esso
rappresenta l'espressione di quei doveri di solidarietà costituzionale
diffusamente contemplati della legge fondamentale dello Stato[16].
Non soltanto solidarietà economica, ma anche diretta a fini politici,
economici, sociali, che non si identifica con il solidarismo funzionalizzato
alla tutela di interessi superindividuali[17].
La
centralità del lavoro ed il fatto che esso riguarda direttamente ogni persona
umana spiega per quale ragione la sua realizzazione costituisca uno dei fini
primari dello Stato che in tal senso ha assunto l'obbligo di rimuovere gli
ostacoli che vi si frappongono, in primo luogo quello che vieterebbe l'accesso
al mondo del lavoro. Obiettivo che è in via ipotetica raggiungibile solo
riconoscendo la legittimità di interventi mirati a tal fine[18].
Da qui l'esigenza di fondare lo status di
lavoratori su un'etica della solidarietà responsabile che significa divenire
consapevoli dell'importanza del lavoro, sia esso autonomo, subordinato o
parasubordinato o, ancora, diversamente qualificabile. Inoltre, "è compito
della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che,
limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese":
così recita l'art.3 Cost. poichè la libertà e l'uguaglianza dei cittadini
rimarrebbero vacue affermazioni di principio se lo Stato non assumesse in prima
persona il compito di riequilibrare la sproporzionata distribuzione dei mezzi
economici, di rimuovere le grandi disparità sociali e culturali e le
ingiustizie, come condizione imprescindibile per realizzare un'effettiva
democrazia e partecipazione, in primo luogo dei lavoratori, all'organizzazione
politica, economica e sociale del Paese. Al lavoro, è dedicato anche il
successivo art.4 Cost. che rappresenta già un primo impegno preciso lungo la
via segnata dal precedente art. 3: "La Repubblica riconosce a tutti i cittadini
il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo
diritto...". In tal modo si impone allo Stato di intervenire nell'economia
affinché tutti coloro che lo desiderino siano posti nelle condizioni di
lavorare. Come è stato rilevato dalla dottrina costituzionalistica[19],
il lavoro che nell'art.1 viene definito fondamento della Repubblica, nei
successivi tre articoli viene considerato sotto tre diversi profili:
-
quello della libertà che implica per il cittadino un vero e proprio diritto
soggettivo a scegliere e ad esercitare l'attività o la funzione corrispondente
alle proprie capacità ed aspirazioni, diritto che può essere limitato solo in
ragione della salvaguardia degli altri fini sociali costituzionalmente
garantiti. Va rilevato che facendo riferimento ad ogni attività o funzione tale
diritto e suscettibile di realizzazione tanto nelle forme di lavoro subordinato
o autonomo quanto in ogni altra forma ritenuta idonea[20];
-
quello del diritto ad ottenere un posto di lavoro. In questa prospettiva il
legislatore costituente si è ispirato al principio rivolto ad eliminare,
segnatamente, ogni discriminazione all'accesso al mercato del lavoro, nel
tentativo di realizzare la piena occupazione. É chiaro che in tal senso la
tutela costituzionale deve intendersi rivolta ad ogni forma di lavoro in cui
sorge l'esigenza di regolamentarne l'accesso;
-
quello del dovere di lavorare, obbligo a cui l'Assemblea Costituente, tuttavia,
escluse che potessero essere riconducibili sanzioni.
Numerose
sono ancora le disposizioni in materia di lavoro contenute nel Titolo III della
prima parte della Costituzione, dedicato ai rapporti economici. Tra le altre,
l'art.35, che impegna la Repubblica a tutelare il lavoro in tutte le sue forme
ed applicazioni; l'art. 36, che stabilisce il diritto del lavoratore ad una
retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni
caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un'esistenza libera e
dignitosa, nonché il diritto al riposo settimanale ed a ferie annuali
retribuite; l'art. 37, che impone che alla donna lavoratrice siano estesi gli
stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni del lavoratore,
consentendole al contempo l'adempimento della sua essenziale funzione
famigliare; l'art. 38, che elenca le previdenze delle quali possono giovarsi i
lavoratori in caso di inabilità, infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e
disoccupazione involontaria, attraverso organi ed istituti predisposti o
integrati dallo Stato. I successivi articoli 39 e 40 riguardano,
rispettivamente, la libertà di organizzazione sindacale e il diritto di
sciopero. Nei rimanenti articoli del tit. III della prima parte della
Costituzione, accanto all'affermazione dei principi propri del liberismo
economico (la libertà di iniziativa economica, di proprietà e di contratto)
vengono chiaramente indicate le direttive di intervento dello Stato nella sfera
economica al fine di rendere effettive le libertà e l'uguaglianza dei
cittadini, ponendoli al riparo dal primo di tutti i bisogni: il bisogno
economico. L'art. 41 proclama che l'iniziativa economica, pur essendo libera,
non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno
alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana e che la legge determina i
programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e
privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. L'art. 45
valorizza la cooperazione e l'artigianato e impone alla Repubblica di
promuoverne la tutela e lo sviluppo. L'art. 46 prevede il diritto dei
lavoratori a forme di cogestione delle aziende.
Dalla
semplice elencazione delle norme costituzionali richiamate, pur senza
approfondirne analiticamente la portata, il che esulerebbe dall'obiettivo del
presente lavoro, emerge chiaramente il quadro di insieme delle regole poste
dalla Costituzione in materia di lavoro che, come si vedrà, ci consente di
rinvenire, in ossequio ai valori in esse accolte, una adeguata disciplina,
anche in assenza di una normativa ad hoc,
dei rapporti di lavoro c.d. parasubordinato non necessariamente improntata al
modello normativo proposto dal codice civile, data la possibilità di
ricomprendere nel meccanismo di tutela e garanzia costituzionali ogni rapporto
di lavoro pur nella varietà dei modi in cui nell'esperienza concreta si
realizza l'incontro tra domanda e offerta di lavoro[21].
§ 2. La prestazione lavorativa nel codice civile del 1942.
Delineato
l'assetto giuridico del lavoro secondo le indicazioni offerte dalla
Costituzione e individuato l'ambito entro il quale si esprime lo specifico
sistema di tutela del lavoro in tutte le sue forme, l'indagine deve ora
volgersi alla considerazione che della medesima materia ha manifestato il
legislatore del 1942 nel redigere la disciplina degli istituti del diritto del
lavoro che, sebbene non abbiano contemplato espressamente il fenomeno della
parasubordinazione hanno pur sempre costituito la base dell'elaborazione
compiuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza[22].
É noto
che il legislatore del 1942, assecondando l'idea corporativa della necessaria
funzionalizzazione del lavoro verso il soddisfacimento dell'interesse generale
alla produzione, ha voluto fornire un'immagine unitaria del lavoro[23]
(assimilando il lavoratore subordinato sotto il profilo retributivo al
lavoratore autonomo[24]),
in funzione dell'impresa intesa come organismo diretto a realizzare i fini
della produzione nazionale, a struttura piramidale e fortemente gerarchizzata,
con al vertice l'imprenditore e al di sotto i dipendenti legati al primo da un
vincolo di subordinazione.
La
tutela del lavoratore approntata dal codice, dunque, era tutta racchiusa in
tale dicotomia (dipendente-datore di lavoro), tanto che in presenza di
fattispecie non qualificabili secondo il vincolo della subordinazione il
codice, all'art.2222, definisce lavoratore autonomo chi <<si obbliga a
compiere verso corrispettivo un'opera o un servizio con lavoro prevalentemente
proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente>>,
con la conseguente assimilazione della sua figura a quella del piccolo
imprenditore ex art.2083[25]
c.c., e la relativa riferibilità del rischio del lavoro al prestatore di opera
come per qualsiasi tipo di operatore economico[26].
Ciò
anche se per una parte della dottrina non vi è assoluta coincidenza tra queste
ultime due figure di lavoro (quella del piccolo imprenditore e quella del
lavoratore autonomo), posto che la prestazione del lavoratore autonomo non è
necessariamente "organizzata" e "professionale" come quella
del piccolo imprenditore[27].
La coincidenza tra le due figure è data, pertanto, dal rilievo che in entrambi
i casi, a differenza del lavoro subordinato, vi è l'assunzione del rischio
dell'attività.
Nella
dicotomia rischio e subordinazione il legislatore del 1942 esauriva, dunque,
tutta la fenomenologia dei rapporti di lavoro riproponendo, per certi versi, la
distinzione tra locatio operis e locatio operarum, risalente al diritto
romano[28].
Come
è noto, infatti, il diritto rimano estendeva la nozione di locazione ad
indicare sia il contratto con cui una parte si obbligava verso corrispettivo a
fornire un certo risultato della propria attività (locatio operis), sia
il contratto con cui una parte si obbligava in cambio di un compenso (mercede)
a prestare le proprie energie lavorative a favore del c.d. locatore (locatio
operarum). Il codice civile del 1865, ripetendo i principi del code
civil del 1804, esprimeva un certo sfavore verso la locatio operarum
ritenendola non compatibile con i principi della libertà e dell'autonomia degli
individui affermati dalla rivoluzione francese, mentre riconosceva ampio spazio
alle "professioni liberali delle quali la locatio operis costituiva
la forma giuridica di tutela più adeguata"[29].
Alla locatio operarum il codice previdente dedicava una sola
norma, l'art.1628, riferendosi alle prestazioni lavorative proprie dei
domestici e degli operai di giornata[30].
Con l'avvento della grande industria, però, sorgeva una notevole divaricazione
tra la realtà sociale e quella normativa cosicché in dottrina venne riproposto,
in riferimento ai lavoratori dell'industria, l'inquadramento del contratto di
lavoro nello schema locativo individuando, però, il tratto distintivo della locatio
operarum rispetto alla locatio operis nella subordinazione del locator
operarum[31].
Questo criterio, nonostante non avesse un supporto normativo nel codice civile
del 1865, trasformava il vincolo di dipendenza personale del locator, proprio
dello schema romanistica, in vincolo di subordinazione funzionale, collegato,
cioè, non alla persona ma all'esecuzione della prestazione lavorativa al fine
di conciliare le esigenze della dommatica civilistica con quella della tutela
del lavoro in fabbrica[32].
Si deve sottolineare, tuttavia, che, almeno fino all'avvento del codice civile
del 1942, gli indici di riconoscimento della subordinazione costituiti
dall'assunzione del rischio e dei poteri di gestione dell'attività lavorativa
da parte del conductor operarum, non avendo supporto normativo, non
consentivano di considerare la stessa subordinazione, in termini normativi,
dato di qualificazione giuridica di un determinato tipo di obbligazione
lavorativa. Solo con la codificazione del 1942 il legislatore introdusse tra i
dati di qualificazione giuridica dell'impresa (nozione, peraltro, inesistente
come categoria normativa nel previdente codice[33])
l'elemento dell'organizzazione, accogliendo i risultati cui era pervenuta
l'interpretazione della dottrina precedente ed adeguando la realtà normativa a
quella economica e sociale. Il nuovo dato giuridico dell'organizzazione
consentì di far riferimento nella qualificazione giuridica del lavoro al
profilo tecnico funzionale della subordinazione nella contrapposizione tra
interesse del lavoratore subordinato ed interesse dell'imprenditore.
In
questo contesto, considerando che una volta qualificato come rapporto di
lavoro, secondo le norme codicistiche scattava l'applicazione della disciplina
tipica dai tratti marcatamente protettivi, l'individuazione delle relative
fattispecie non era sempre agevole tanto che nel corso del cinquantennio
seguito all'emanazione del codice civile la dottrina ha ripetutamente criticato
tale impostazione[34]. Del resto,
l'applicazione dello stesso meccanismo di tutela a fattispecie non
riconducibili agevolmente negli schemi legali del rapporto di lavoro, era resa
difficile dalle tecnica legislativa usata dal legislatore che, sotto
l'influenza del modello francese, ha dato una struttura normativa alle norme
codicistiche tale da affidar loro il ruolo fonte esclusiva della certezza del
diritto, attraverso la previsione di fatti tipici ai quali ricollegare gli
effetti di tutela così da porle come diaframma tra legge e realtà sociale[35].
Ne
consegue la palese difficoltà non solo di inquadrare con precisione le
fattispecie di lavoro subordinato, ma anche quella di allargare la disciplina
per esse dettata, come si vedrà nel paragrafo seguente, a situazioni che come,
il lavoro parasubordinato, non sono state espressamente previste da fattispecie
astratte e non sono, dunque, sussumibli in schemi legali. Essendo il lavoro
parasubordinato caratterizzato tanto dall'assenza di una subordinazione
tecnico-giuridica quanto dall'assenza di ogni previsione di rischio propria del
lavoro autonomo, infatti, non è ad esso applicabile la disciplina dettata per
l'una o per l'altra normativa, almeno fino all'entrata in vigore della legge
n.533/1973 che ha esteso la disciplina processuale a tutte le forme di lavoro
menzionando i rapporti a prestazione coordinata e continuativa attraverso l'enunciazione
di alcuni suoi elementi.
§ 3. Il
lavoro parasubordinato ed il suo difficile inquadramento sistematico tra
autonomia e subordinazione.
La
riflessione svolta nelle pagine precedenti circa la posizione assunta dal lavoro
nel quadro dei principi costituzionale e nella sistematica del codice civile,
se da una parte mette in rilievo la diversa considerazione ricevuta, nella
duplice prospettiva, dai lavoratori, dall'altra induce a qualificare il
rapporto di lavoro parasubordinato, a cui va riconosciuta ogni forma di tutela
secondo il dettato costituzionale, seguendo gli schemi codicistici del lavoro
subordinato o del lavoro autonomo cercando di inquadrarlo in secondo una
propria collocazione che non si identifichi né con l'uno né con l'altro.
Come
è noto, il lavoro subordinato è il lavoro prestato da coloro che si obbligano a
mettere a disposizione di un altro soggetto la loro attività lavorativa in
quanto tale, a prescindere dal risultato perseguito e quindi rimanendo propriamente
estranei al rischio connesso con il raggiungimento di quel risultato[36].
Segnatamente il codice civile definisce come lavoro subordinato quello reso
all’interno di una impresa (art.2094c.c.), anche se non viene costruito come
fenomeno esclusivo dell’impresa, giacché, datore di lavoro può essere anche un
non imprenditore (si pensi a lavoratore domestico alle dipendenze di un
privato; alla segretaria alle dipendenze di un professionista come il medico o
l’avvocato, ecc.). Inoltre, pur essendo il lavoratore alle dipendenze di un
imprenditore, è possibile che materialmente l’esecuzione della prestazione non
si svolga all’interno dei locali dell’impresa (si pensi al lavoro a domicilio o
al telelavoro)[37]. In poche
parole, l’elemento qualificante del rapporto di lavoro subordinato è la
sottoposizione del lavoratore al datore di lavoro, che è il soggetto che decide
in concreto i modi di utilizzazione delle energie e delle capacità lavorative
messe a disposizione dai dipendenti, le finalizza al conseguimento di un
determinato risultato, le <conforma> in altre parole alla propria
organizzazione produttiva, si appropria infine del risultato cosi conseguito,
obbligandosi in cambio a corrispondere la retribuzione ai lavoratori per tutto
il tempo che essi sono rimasti a disposizione[38].
Non
sempre, tuttavia, nella sistematica del codice, la distinzione tra lavoro
autonomo e lavoro subordinato è agevole, poichè le difficoltà interpretative
dello schema codicistico , sono notevolmente aumentate parallelamente alla
introduzione nel mondo del lavoro di nuove forme di prestazione lavorativa,
correlate alle trasformazioni indotte dall’innovazione tecnologica e dalla c.d.
terziarizzazione dell’economia. Inoltre tra le due aree del lavoro subordinato
e del lavoro autonomo è andata progressivamente crescendo, come una terza area,
l'area dei lavoratori parasubordinati occupata da quei lavoratori che pur non
trovandosi in una situazione di sottoposizione formale ad un datore, si
trovano, però, rispetto ad essi, in condizioni di debolezza economica e sociale[39].
Come si è detto, l’area della c.d. parasubordinazione, sul piano del diritto
positivo ha cominciato ad affiorare quando, nel 1973, ha il legislatore ha
modificato la disciplina del processo del lavoro. In quella occasione , infatti,
egli ha individuato come destinatarie delle disposizioni sul progresso del
lavoro, sottraendole al rito ordinario che le avrebbe sfavorite, con i suoi
lenti ritmi e con le sue logiche astratte, anche le controversie relative a
<rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di
collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e
coordinata, prevalentemente personale anche se non a carattere subordinato>
(art. 409 c.p.c.). La necessità di distinguere tra lavoro subordinato, lavoro
autonomo, e lavoro parasubordinato, ai fini della determinazione della concreta
disciplina applicabile al rapporto ha costretto la giurisprudenza ad adottare
via via parametri interpretativi meno astratti poichè, laddove il requisito
della subordinazione, che abbiamo visto essere la linea di demarcazione
essenziale tra le diverse figure in discorso, appaia evanescente diventa
inevitabile ricorrere ad indici rispondenti alle esigenze della qualificazione
giuridica[40]. Ciò ove si
consideri che, come si legge in una recente pronuncia della Cassazione
<<seppur non vi sia dubbio che, almeno per quel che riguarda la tutela in
concreto, è possibile rinvenire alcuni aspetti comuni tra subordinazione e
parasubordinazione, le affinità tra lavoro parasubordinato e lavoro
propriamente subordinato non comportano alcuna osmosi delle rispettive
discipline sostanziali, rimanendo la parasubordinazione pur sempre
riconducibile all’area delle prestazioni autonome, senza che ciò possa far
sorgere il dubbio di illegittimità costituzionale, stante una persistente
disomogeneità delle situazioni poste a confronto[41].
Ciò anche se, sempre secondo la Corte, il vincolo, in alcuni casi (come quello
del lavoro giornalistico), è dato dall’inserimento continuativo del collaboratore
nell’organizzazione dell’impresa[42],
poichè, secondo il principio ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, è
sufficiente l'impegno permanente del lavoratore a porre le proprie energie
lavorative a disposizione del datore di lavoro anche negli intervalli fra una
prestazione e l'altra, in funzione di sue richieste variabili. Tale elemento
rappresenta quindi in questi casi - ha affermato la Corte - l'indice più
significativo del vincolo di dipendenza, la cui sussistenza può essere esclusa
solo nel caso in cui siano convenute singole, ancorché continuative,
prestazioni in una sorta di successione di incarichi professionali.
Anche
per la Cassazione, tuttavia, resta comunque fermo che al di là della
subordinazione e dell'autonomia, non potrebbe che farsi ricorso alla figura
della parasubordinazione, con la quale vengono individuati quei rapporti che
sono caratterizzati dagli elementi della personalità e della collaborazione
continuativa e coordinata[43].
Roma,
1999.
NOTE
[1] Cfr. Cass. civ., 5 gennaio 1984, n. 35, in Mass. , 1984
[2] Cfr. Cass. civ., 8 ottobre 1983, n. 5849, in Resp. Civ. e Prev. , 1984, 200
[3] Cfr. Cass., 24 gennaio 1998, n.709, in Notiz. Giur. lav., 1998, p.112.
[4] Cfr. Cass. civ., 24 maggio 1986, n. 3507, in Foro Pad. , 1987, I, 216, con nota di BALDI
[5] Cfr. Cass. civ., 8 ottobre 1983, n. 5849
[6] Cfr. Cass. civ., sez. lav., 24 gennaio 1994, n. 687, in Giur. It., 1994, I,1, 842
[7] Cfr. Cass. civ., 26 novembre 1985, n. 5867, in Mass. , 1985
[8] Cfr. Cass. civ., 1 febbraio 1983, n. 873, in Mass. , 1983
[9] Cfr. Cass. civ., 20 dicembre 1983, n. 7513, in Mass. , 1983
[10] Cfr. LIEBMAN, Individuale e collettivo nel contratto di lavoro, Milano, Giuffrè, 1992, p.87ss.
[11] Così FOIS, Principi fondamentali, diritti e doveri dei cittadini nella Costituzione italiana, p.16.
[12] Cfr. ALPA, Giurisprudenza di diritto privato, Vol.I, Torino, Giappichelli, 1991, 2ss; nello stesso senso PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, E.S.I., Napoli, 1991, 201ss.
[13] Cfr. PINERO M. R., Costituzione, diritti fondamentali e contratto di lavoro, in Giornale Dir. Lav. e Relaz. Ind., 1995, 29ss.
[14] Ibidem.
[15] Cfr. FOIS, op. cit., p.16.
[16] Cfr. PERLINGIERI, op. cit., p.204.
[17] Ibidem.
[18] ZAMAGNI, Il problema economico nella società postindustriale e l'urgenza di un nuovo orizzonte di senso, p.24.
[19] FOIS, op. cit., p.2.
[20] Ibidem.
[21] Cfr. PERSIANI M., Autonomia, subordinazione e coordinamento nei recenti modelli di collaborazione lavorativa, in Dir. Lav., 1998, 203ss.
[22] Cfr. GRIECO A. M., Lavoro parasubordinato e diritto del lavoro, Napoli, 1983, 58ss; DE LUCA TAMAJO R., FLAMMIA R., PERSIANI M., La crisi della nozione di subordinazione e della sua idoneità selettiva dei trattamenti garantistici. Prime proposte per un nuovo approccio sistematico in una prospettiva di valorizzazione di un tertium genus: il lavoro coordinato, in Lav. Impr., 1996, n.15-16, p. 75 ss..
[23] Cfr. GALGANO, L'imprenditore, Bologna, 1970, 19ss
[24] Così, GRIECO, op. cit., p.106.
[25] Ai sensi dell'art.2083 c.c., infatti, <<sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia>>.
[26] Ibidem. Ai sensi dell'art.2083 c.c. <<sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia>>.
[27] Cfr. SANTORO PASSATELLI, Il lavoro parasubordinato, Milano, 1980, p.77ss.
[28] In realtà, la disciplina codicistica avrebbe dovuto consentire di superare la suddetta distinzione accolta, invece, nel codice civile del 1865. Cfr. DIANA, Appartiene al passato la distinzione tra locatio operis e locatio operarum in materia di lavoro autonomo e subordinato?, in Riv. Giur. Sarda, 1997, 174.
[29] Cfr. SANTORO PASSATELLI, Il lavoro parasubordinato, cit., p.29.
[30] Ibidem.
[31] Cfr. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, Roma, 1915-1917, II ediz., vol.I-II.
[32] Cfr. SANTORO PASSATELLI, Il lavoro parasubordinato, cit., p.30, il quale rileva, tuttavia, che pur dovendosi riconoscere al Barassi il merito di aver ricostruito per il rapporto di lavoro un trattamento normativo non disciplinato espressamente dal codice civile allora vigente, il suo discorso può apparire tautologico in quanto ricava la subordinazione come effetto dalla subordinazione come fattispecie.
[33] Cfr. SPAGNOLO VIGORITA, Subordinazione e diritto del lavoro, Napoli, 1967, 126.
[34] Anche se ancora in qualche pronuncia vi si fa
riferimento: cfr. in tal senso Trib. Cagliari, 13 luglio 1993, in Riv. Giur.
Sarda, 1997, 174.
[35] BOLOGNA S.-FUMAGALLI A., (a cura di) Il lavoro subordinato di seconda generazione, Milano, 1997, p.112.
[36] DE LUCA TAMAJO R., FLAMMIA R., PERSIANI M., op. cit., p.82.
[37] Cfr. PIZZI P., Brevi considerazioni sulla qualificazione giuridica del telelavoro, in Riv. Giur. Lav. e prev. Soc., 1997, I, 219-235; PESSI R., I rapporti di lavoro c.d. atipici tra autonomia e subordinazione nella prospettiva dell’integrazione europea, in Riv. It. Dir. Lav., 1992, 133-150.
[38] SPAGNUOLO VIGORITA (a cura di), Qualificazione del rapporto come lavoro autonomo o subordinato, elementi per la qualificazione, in Orient. Giur. Lav., 1997, 3, 167.
[39] Cfr. PERSIANI M., Autonomia, subordinazione e coordinamento nei recenti modelli di collaborazione lavorativa, in Dir. Lav., 1998, 203ss.
[40] Così, GRIECO, op. cit., p.112.
[41] Cassazione, Sezioni Unite, 28 agosto 1998, n.8542 (Pres. La Torre, Rel. Evangelista).
[42] Cassazione, Sezione Lavoro, 27 marzo 1998, n.3272 (Pres. Pontrandolfi, Rel. Coletti).
[43] Cassazione, Sezioni Unite Civili, n.11272/98 (Presidente F. Bile Relatore G. Prestipino), in merito alla controversia sulle indennità dei giudici di pace.
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