Cassazione civile, sez. I, 20 giugno 2000, n. 8370 - Pres. Sgroi - Rel. Marziale (Diritti del socio - Ispezione dei libri sociali - Libro delle adunanze e deliberazioni assembleari - Estensione alle deleghe di voto - Sussiste).

 

"Il diritto di ispezione del libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee, riconosciuto ai soci dall'art. 2422, primo comma, c.c. si estende anche alle deleghe rilasciate per l'esercizio del diritto di voto in assemblea, oltre che all'elenco degli intervenuti, trattandosi di documenti che la società è tenuta a conservare ex art. 2372 c.c. e a nulla rilevando che ad essi la norma, nella sua formulazione testuale, non faccia specifico riferimento".

 

Svolgimento del processo

 

1. Con atto notificato il 27 aprile 1993, il signor ******* conveniva in giudizio ****** s.p.a. innanzi al tribunale di Milano, esponendo:

- che nel corso dell’assemblea della società convenuta, svoltasi il 7 maggio 1992, alla quale aveva partecipato in qualità di socio, aveva chiesto inutilmente di poter esaminare le deleghe rilanciate dai soci non intervenuti personalmente alla riunione assembleare;

- che la richiesta era stata respinta sul rilievo che il potere di verificare la legittimazione dei partecipanti era demandato in via esclusiva al presidente dell’assemblea;

- che due successive richieste, rivolte per iscritto alla società il 23 e il 27 luglio 1992, al fine di ottenere la possibilità di esaminare tali documenti erano rimaste senza effetto;

- che tali rifiuti erano illegittimi, posto che il diritto di ispezionare il libro delle delibere assembleari, sancito dall'art. 2422, n. 3, c.c., si estende agli allegati e ad ogni altro documento integrativo dei verbali delle riunioni assembleari e, quindi, anche alle eventuali deleghe rilasciate in favore dei partecipanti all'assemblea.

Tanto premesso, l’attore chiedeva che la società fosse condannata a consegnargli la documentazione richiesta presso la sede sociale, onde consentirgli la verifica della regolarità delle deleghe rilasciate nell'ultimo quinquennio.

La domanda era accolta dal tribunale, con sentenza del 30 giugno 1994, nella quale si affermava:

- che il diritto dei soci a controllare la legittimità delle deleghe trovava un preciso riscontro negli artt. 2421 e 2422 c.c. e un'indiretta conferma nell'obbligo, posto a carico della società, di conservare tali documenti (art. 2372, primo comma, c.c.);

- che l'interesse del socio di procedere a tale riscontro deriva dal fatto che i vizi della delega si riflettono sulla validità del voto espresso dal rappresentante e sulla validità della deliberazione adottata dall'assemblea;

- che tale interesse andava riconosciuto (non solo rispetto alle delibera già adottate, ma) anche a quelle in corso di svolgimento.

 

1.2. La sentenza era però riformata dalla Corte territoriale che, accogliendo l’appello proposto dalla Società:

- dichiarava ultra petita, e come tale illegittimo, il riconoscimento, ai singoli soci, del diritto di verificare la regolarità delle deleghe anche rispetto alle assemblee in corso;

- negava che il diritto di ispezione del libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee (art. 2422, primo comma, c.c., in relazione all'art. 2421 c.c. dello stesso codice) si estenda, nelle società per azioni, alle “deleghe”, osservando che in tali società l'interesse degli azionisti è tutelato in modo indiretto, mediante l'attribuzione del potere di denunzia ad un organo (il collegio sindacale), che ha accesso a tutta la documentazione sociale ed è preposto al controllo di legittimità dell’attività della società.

 

1.3. Il ricorrente chiede la cassazione di tale sentenza con tre motivi di ricorso. La **** s.p.a. resiste e propone, a sua volta, ricorso incidentale condizionato, al cui accoglimento il ricorrente si oppone con controricorso notificato ai sensi dell'art. 371, quarto comma, c.p.c.

Motivi della decisione

(omissis)

 

4. Con i primi due motivi del ricorso principale, che possono essere esaminati congiuntamente, il ricorrente - denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 2422 c.c., nonché vizio di motivazione - censura la sentenza impugnata per aver escluso che il diritto di ispezione contemplato dal citato art. 2422 possa essere esercitato anche in relazione alle deleghe rilasciate ai sensi dell'art. 2372 c.c. per l'esercizio del voto in assemblea.

 

4.1 - La censura è fondata.

Deve infatti escludersi - rettificando l'opinione espressa in altra occasione (Cass. 30 ottobre 1970, n. 2263; 20 giugno 1997, n. 5542) - che il verbale rilevi quale mero strumento di documentazione “storica” dell'attività dell'organo assembleare, in conformità degli accertamenti e delle attestazioni compiuti dalla persona incaricata di presiedere la riunione assembleare.

Se così fosse, riuscirebbe difficile comprendere perché la verbalizzazione sia affidata ad un soggetto diverso dal presidente dell'assemblea e perché, rispetto alle delibere più significative, tale compito sia assegnato al notaio (art. 2375 c.c.), autorizzato a dare pubblica fede agli atti da lui redatti (art. 2699 c.c.) e per definizione neutrale rispetto agli interessi dei soggetti nei confronti dei quali svolge la sua attività di pubblico documentatore.

Tali prescrizioni stanno invece ad indicare: da un lato, che la documentazione delle attività assembleari deve essere compiuta in piena autonomia dal verbalizzante, che non può quindi limitarsi a prendere atto degli accertamenti compiuti dal presidente; dall'altro, che la verbalizzazione è richiesta proprio al fine di consentire il successivo controllo della validità delle delibere, nell'interesse di quanti non abbiano concorso, con il proprio voto, alla loro approvazione.

 

4.2. Se questa è la ragion d'essere della verbalizzazione richiesta dall'art. 2375 c.c., appare evidente che il verbale prescritto da tale disposizione trova la sua necessaria integrazione nella documentazione relativa all'intervento dei soci che hanno partecipato, in proprio o per delega, alla riunione assembleare.

L'elenco nominativo dei partecipanti ne rappresenta quindi un elemento essenziale, trattandosi del documento che contiene gli estremi necessari per l'individuazione di coloro che hanno preso parte ai lavori dell'assemblea e che, appunto per questo, costituisce «fonte primaria di prova della composizione dell'assemblea»… (Cass. 5542/97, cit.) e della formazione delle sue maggioranze (Cass. 19 ottobre 1998, n. 10329). Solo identificando nominativamente i singoli votanti è, infatti, possibile rilevare se i voti, favorevoli o contrari, sono stati (o meno) validamente espressi ed è possibile individuare i soci legittimati ad impugnare la delibera adottata, perché assenti o dissenzienti.

Ciò spiega perché la Consob fin dal 1981 abbia prescritto che dal verbale delle deliberazioni assembleari delle società sottoposte alla sua vigilanza (o da un suo allegato) deve risultare l'elenco nominativo dei soci partecipanti, in proprio o per delega, con l'indicazione del numero delle rispettive azioni e degli astenuti, come pure di quelli che hanno espresso voto contrario alla deliberazione (Delib. n. 2348 del 12 marzo 1981; v. ora art. 85, reg. Consob n. 11971 del 14 maggio 1999, in relazione all'Allegato 3E dello stesso regolamento); in linea con una tendenza, rilevabile anche a livello comunitario (proposta modificata di quinta direttiva Cee sulla struttura delle società per azioni, art. 41.3, a, in Guce, C 240 del 9 settembre 1983), che ha reso sempre più incisiva la tutela del diritto dell'azionista all'informazione, moltiplicando le ipotesi in cui le società, anche non quotate, sono tenute a depositare presso la sede sociale specifici documenti informativi (artt. 2427-2428 c.c.; 2441, sesto comma; 2501bis-sexies; 2504 octies e novies c.c.; artt. 72 e 73, reg. Consob 11971/99, cit.), fino a riconoscere, in favore di ogni socio, il diritto non solo di consultare, ma anche di ottenere copia, a proprie spese, «di tutti gli atti depositati presso la sede sociale per assemblee già convocate» (art. 130, D.Lgs 24 febbraio 1998, n. 58).

 

4.2.2. Se la partecipazione dei soci è stata indiretta, la verifica della validità delle deliberazioni assembleari non può tuttavia prescindere dall'esame delle deleghe rilasciate per l'esercizio del diritto di voto, poiché l'elenco degli intervenuti rappresenta, a tale riguardo, una fonte di prova incompleta, essendo privo di indicazioni circa i contenuti e le modalità di rilascio della procura.

L'esercizio del diritto di voto a mezzo rappresentante è consentito dall'art. 2372 c.c. entro limiti assai ristretti, a tutela del corretto funzionamento dell'organo assembleare e, quindi, di interessi che trascendono la persona del rappresentato; limiti, la cui violazione determina l'invalidità della deliberazione adottata con il voto determinante del rappresentante: quali siano i mezzi per far valere tale vizio, se cioè essi comportino mera annullabilità, ovvero nullità od inesistenza della delibera presa senza la maggioranza prescritta è questione che non deve essere risolta in questa sede, essendo devoluta al giudice di rinvio, come - per evitare ripetizioni - sarà chiarito in sede di esame del secondo motivo del ricorso incidentale.

Non vale richiamarsi, in contrario, ai principi in tema di rappresentanza negoziale, trattandosi di principi elaborati in funzione della tutela degli interessi del rappresentato e che non possono quindi venire in considerazione quando, come nel caso di specie, il conferimento del potere rappresentativo è vincolato al rispetto di esigenze di generale rilevanza.

4.3. Il diritto di ispezione del libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee, riconosciuto ai soci dall'art. 2422, primo comma, c.c., si estende quindi certamente anche a tali documenti, a nulla rilevando che ad essi la norma, nella sua formulazione testuale, non faccia specifico riferimento.

Trattasi, infatti, di documenti che la società è tenuta a conservare (art. 2372, primo comma, c.c.). E tale obbligo trova la sua ragion d'essere proprio nell'esigenza di consentire la successiva verifica dell'osservanza delle norme che disciplinano la rappresentanza azionaria a tutela di interessi che, come si è appena osservato, sono posti a tutela di interessi che trascendono la persona del rappresentato (retro, 4.2.2).

Del resto, la tesi della società resistente, secondo cui il diritto di ispezione potrebbe essere esercitato solo in relazione ai verbali delle riunioni assembleari, si risolve in una limitazione del diritto alla tutela giurisdizionale dei soci (rendendo oltremodo arduo, per essi, rilevare e far valere eventuali vizi delle deliberazioni adottate), che appare priva di giustificazione, dal momento che non è ipotizzabile alcun legittimo interesse della società ad impedire che i soci acquisiscano informazioni sullo svolgimento delle attività dell'assemblea, specie quando tale ricerca è finalizzata all'accertamento di eventuali distorsioni nel funzionamento di detto organo.

Non vale osservare che i soci hanno pur sempre la possibilità di ottenere l'esibizione di tali documenti in giudizio, a norma degli artt. 210 ss. c.p.c., in quanto tale istituto non può essere utilizzato per acquisire elementi di conoscenza sui fatti di causa, ma solo per acquisire la prova di circostanze di fatto già individuate e dedotte in giudizio (Cass. 4 luglio 1962, n. 1690; 30 ottobre 1970, n. 2263; 14 settembre 1995 n. 9715).

Né conta rilevare che nelle società in cui è operante un organo, come il collegio sindacale, incaricato di vigilare sull'osservanza della legge e dell'atto costitutivo (art. 2403 c.c.) l'interesse all'informazione dei singoli soci è soddisfatto, in linea di massima in via indiretta, per il tramite degli accertamenti compiuti dall'organo di controllo: l'espressa attribuzione, ad ogni socio, del diritto di esaminare il libro delle adunanze e delle deliberazioni assembleari sta, infatti, ad indicare che il legislatore ha inteso offrire a tali soggetti, anche nelle società dotate di collegio sindacale, la possibilità di acquisire direttamente le informazioni sul funzionamento dell'assemblea.

Ancor meno producente è, poi, il riferimento a ragioni di speditezza e di funzionalità che imporrebbero di affidare al presidente ogni potere di verifica della legittimazione degli intervenuti, in quanto tali esigenze, se possono apparire ragionevoli durante lo svolgimento dell'assemblea, non sono più ipotizzabili a lavori assembleari terminati e non possono essere quindi addotte per respingere la pretesa del socio di verificare la regolarità delle deleghe di voto rilasciate in relazione ad un'assemblea già conclusa.

 

5. Il terzo motivo - con il quale il ricorrente, denunziando violazione degli artt. 283, e 329 c.p.c., si duole della sospensione della esecutività della sentenza di primo grado - è palesemente inammissibile.

La statuizione censurata non è, infatti, contenuta nella sentenza impugnata, ma in un provvedimento autonomo, adottato dal presidente della Corte d'appello ai sensi dell'art. 351, terzo comma, c.p.c. e, come tale, non impugnabile mediante ricorso per cassazione.

 

6. L'accoglimento, nei sensi precisati, del ricorso principale, rende necessario l'esame di quello incidentale, proposto in via condizionata dalla società resistente.

 

6.1. Con il primo motivo, la società **** - ponendo in evidenza che il ricorrente, dopo aver chiesto nel primo grado di giudizio il riconoscimento del proprio diritto all'esame delle deleghe «relative all'ultimo quinquennio», aveva lasciato cadere, nella successiva fase, tale riferimento temporale - censura la sentenza impugnata per non aver dichiarato d'ufficio inammissibile, ai sensi dell'art. 345, comma primo, c.p.c., la domanda cosi modificata.

Il motivo è inammissibile, perché basato su un'interpretazione della sentenza che non corrisponde al suo effettivo contenuto, e cioè quello secondo cui, da un lato, il ricorrente avrebbe ampliato la domanda in appello, in violazione dell'art. 345 c.p.c. e, dall'altro, la Corte d'appello non avrebbe dichiarato inammissibile tale ampliamento. In realtà (come risulta anche dalla prima parte del motivo e dal controricorso del ricorrente) non vi è stato ampliamento della domanda ed il giudice d'appello ha chiaramente detto che la domanda riguardava - così in primo grado come in appello - «la richiesta di visionare le deleghe relative alle assemblee della società per azioni **** nel quinquennio antecedente».

Pertanto non vi è alcuna pronuncia, neppure implicita, che consenta un ricorso della parte vittoriosa nel merito su un punto di rito rilevabile d'ufficio.

6.2. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, la sentenza impugnata viene censurata per non aver rilevato che, comunque, nel caso concreto nessun diritto d'ispezione poteva essere riconosciuto in favore del ricorrente, essendo egli decaduto dal diritto di impugnare le deliberazioni già adottate per l'inutile decorso del termine stabilito dall'art. 2377, secondo comma, c.c.

Anche tale motivo è inammissibile.

6.2.1. Nell'appello de ***** s.p.a. si faceva valere anche la censura secondo cui «il diritto vantato della controparte era inesistente e la pronuncia attinente alle assemblee trascorse era contraddittoria e comunque inutile, dato che per tutte tali assemblee il ricorrente era decaduto dall'impugnazione delle relative deliberazioni».

Come è evidente, l'appellante proponeva due distinte eccezioni, una attinente all'inesistenza in assoluto del diritto, ed una attinente all'inutilità – comunque - della pronuncia che invece l'aveva riconosciuto. Tale seconda eccezione (di carattere evidentemente subordinato) non atteneva all'interesse ad agire, che è stato oggetto di una separata pronuncia espressa (p. 8-9 della sentenza), non impugnata in questa sede. Non si tratta, pertanto, di un punto rilevabile d'ufficio a cui sia applicabile la giurisprudenza relativa all'ammissibilità di un ricorso incidentale attinente a questioni rilevabili d'ufficio e non esaminate (Cass. 28 marzo 1998, n. 3290; 29 maggio 1998, n 5306, fra le altre conformi). Si tratta, invece, della contestazione di un asserito elemento costitutivo della domanda, fondata sull'assunto che il diritto di esame delle deleghe non aveva - comunque - carattere autonomo, perché all'esito del suo esercizio gli eventuali vizi delle deleghe non avrebbero consentito l'impugnazione di cui all'art. 2371, essendo trascorso il termine ivi previsto.

Il ricorrente controbatteva, osservando che il vizio eventualmente rincontrato avrebbe reso inesistente la delibera dell'assemblea nella quale era stato dato il voto, in base alle deleghe (p. 4 del ricorso principale), tanto più con riferimento al socio di maggioranza (p. 7-8 dello stesso ricorso), con conseguente irrilevanza del termine di decadenza.

 

6.2.2. Su tali punti non vi è stata alcuna decisione del giudice del merito, il quale – avendo ritenuto l'inesistenza in assoluto del diritto - li ha evidentemente ritenuti assorbiti. Pertanto essi non possono formare oggetto di ricorso incidentale, neppure condizionato, ad istanza della parte vittoriosa nel merito (che non può chiedere la cassazione di una sentenza che le è stata favorevole nel merito), restandone, devoluto l'esame al giudice di rinvio (Cass. 29 luglio 1994, n. 7141; 9 settembre 1999, n. 8924; 23 novembre 1998, n. 11851 ed altre), il quale dovrà decidere anche se il diritto qui da questa Corte affermato abbia carattere autonomo e non sia soggetto a decadenza ma solo al termine di prescrizione di anni cinque ex art. 2949, primo comma c.c.; ovvero sia necessariamente strumentale all'utile e possibile esercizio di altra iniziative, sia giudiziali ex artt. 2377-2379 c.c., che non contenziose ex artt. 2408-2409 c.c. (v. anche Cass. 17 aprile 1972 n. 1214), salva l'ipotesi che tenda ad acquisire la conoscenza di un vizio determinante l'inesistenza delle delibere assembleari.

 

7. In relazione all'accoglimento del primo e del secondo motivo del ricorso principale la sentenza impugnata deve essere cassata, con conseguente rinvio della causa ad altra sezione della Corte d'appello di Milano, che si atterrà al seguente principio di diritto: «Il diritto di ispezione dei libri sociali, previsto dall'art. 2422 c.c., si estende anche alle deleghe rilasciate per l'esercizio del diritto di voto a norma dell'art. 2372 c.c.».

Il giudice di rinvio provvederà, inoltre, alla liquidazione delle spese della presente fase.

P.Q.M.

La Corte di cassazione, riuniti i ricorsi, così provvede:

-          accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso principale;

-          dichiara inammissibile il terzo motivo dello stesso ricorso e il ricorso incidentale;

-          in relazione ai motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa anche per le spese ad altra sezione della Corte d'appello di Milano.