Corte di Giustizia Comunità europee, 7
novembre 2000, Granducato di Lussemburgo, causa C-168/98, (Ricorso di
annullamento - Libertà di stabilimento - Riconoscimento reciproco dei diplomi -
Armonizzazione - Obbligo di motivazione - Direttiva 98/5/CE - Esercizio
permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello
in cui è stata acquistata la qualifica).
Sentenza della Corte 7 novembre 2000.
«Ricorso di annullamento - Libertà di stabilimento - Riconoscimento reciproco
dei diplomi - Armonizzazione - Obbligo di motivazione - Direttiva 98/5/CE -
Esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso
da quello in cui è stata acquistata la qualifica»
Nella causa C-168/98,
Granducato di Lussemburgo,
rappresentato inizialmente dal signor N. Schmit, direttore delle relazioni
economiche internazionali e della cooperazione presso il ministero degli Affari
esteri, quindi dal signor P. Steinmetz, direttore dell'ufficio affari giuridici
e culturali presso il medesimo ministero, in qualità di agenti, assistiti
dall'avv.J. Welter, del foro di Lussemburgo, con domicilio eletto presso lo
studio di quest'ultimo, 100, boulevard de la Pétrusse,
ricorrente
CONTRO
Parlamento europeo , rappresentato
inizialmente dai signori C. Pennera, capodivisione presso il servizio
giuridico, e A. Baas, amministratore presso il medesimo servizio, quindi dai
signori C. Pennera e J. Sant'Anna, amministratore principale presso il servizio
giuridico, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il
segretariato generale del Parlamento europeo, Kirchberg,
E
Consiglio dell'Unione europea,
rappresentato dalla signora M.C. Giorgi, consigliere giuridico, e dal signor F.
Anton, membro del servizio giuridico, in qualità di agenti, con domicilio
eletto in Lussemburgo presso il signor A. Morbilli, direttore generale della
direzione "Affari giuridici" della Banca europea per gli investimenti,
100, boulevard Konrad Adenauer,
convenuti
SOSTENUTI DA
Regno di Spagna, rappresentato dalla
signora M. López-Monís Gallego, abogado del Estado, in qualità di agente, con
domicilio eletto in Lussemburgo presso la sede dell'ambasciata di Spagna, 4-6,
boulevard E. Servais,
DA
Regno dei Paesi Bassi, rappresentato
dal signor M.A. Fierstra, capo del servizio di diritto europeo presso il
Ministero degli Affari esteri, in qualità di agente, Bezuidenhoutseweg, 67, La
Haye,
DA
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda
del Nord, rappresentato dal signor J.E. Collins, Assistant Treasury Solicitor,
in qualità di agente, assistito dal signor D. Anderson, barrister, con
domicilio eletto in Lussemburgo presso la sede dell'ambasciata del Regno Unito,
14, boulevard Roosevelt,
E DA
Commissione delle Comunità europee,
rappresentata dai signori A. Caeiro, consigliere giuridico principale, e B.
Mongin, membro del servizio giuridico, in qualità di agenti, con domicilio
eletto in Lussemburgo presso il signor C. Gómez de la Cruz, membro del medesimo
servizio, Centre Wagner, Kirchberg,
intervenienti
avente ad oggetto la domanda
d'annullamento della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16
febbraio 1998, 98/5/CE , volta a facilitare l'esercizio permanente della professione
di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la
qualifica (GU L 77, pag. 36),
LA CORTE,
composta dai signori G.C. Rodríguez
Iglesias, presidente, C. Gulmann (relatore), A. La Pergola, M. Wathelet e V.
Skouris, presidenti di sezione, D.A.O. Edward, J.-P. Puissochet, P. Jann, L.
Sevón, R. Schintgen e dalla signora F. Macken, giudici,
avvocato generale: D. Ruiz-Jarabo
Colomer,
cancelliere: H. von Holstein,
cancelliere aggiunto,
- vista la relazione d'udienza,
- sentite le difese orali svolte dalle
parti all'udienza del 25 gennaio 2000, nel corso della quale il Granducato di
Lussemburgo è stato rappresentato dal signor P. Steinmetz, assistito dall'avv.
J. Welter, il Parlamento dal signor C. Pennera, il Consiglio dal signor F.
Anton, il Regno di Spagna dalla signora M. López-Monís Gallego, il Regno dei
Paesi Bassi dalla signora J. van Bakel, consigliere giuridico aggiunto presso
il Ministero degli Affari esteri, in qualità di agente, il Regno Unito dal
signor J.E. Collins, assistito dal signor M. Hoskins, barrister, e la
Commissione dal signor B. Mongin,
- sentite le conclusioni dell'avvocato
generale, presentate all'udienza del 24 febbraio 2000,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
1. Con atto introduttivo depositato
nella cancelleria della Corte il 4 maggio 1998, il Granducato di Lussemburgo ha
proposto un ricorso, ai sensi dell'art. 173, primo comma, del Trattato CE
(divenuto, in seguito a modifica, art. 230, primo comma, CE), diretto
all'annullamento della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16
febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare l'esercizio permanente della
professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata
acquistata la qualifica (GU L 77, pag. 36).
2. Con ordinanze del presidente della
Corte 16 settembre, 19 ottobre, 11 novembre e 9 dicembre 1998, il Regno di
Spagna, la Commissione delle Comunità europee, il Regno dei Paesi Bassi e il
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sono statiammessi a intervenire
a sostegno delle conclusioni del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione
europea.
La direttiva 98/5
3. La direttiva 98/5 è stata adottata
in base alla procedura di cui all'art. 189 B del Trattato CE (divenuto, in
seguito a modifica, art. 251 CE), sul fondamento dell'art. 49 del Trattato CE
(divenuto, in seguito a modifica, art. 40 CE), in quanto essa contiene
disposizioni relative all'esercizio della professione di avvocato come
lavoratore subordinato, e dell'art. 57, nn. 1 e 2, prima e terza frase, del
Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 47, nn. 1 e 2, prima e terza
frase, CE), in quanto essa disciplina l'esercizio della professione di avvocato
come libero professionista.
4. L'art. 2, primo comma, della detta
direttiva stabilisce che gli avvocati hanno il diritto di esercitare
stabilmente le attività di avvocato precisate all'articolo 5 in tutti gli altri
Stati membri con il proprio titolo professionale di origine.
5. L'art. 5, n. 1, dello stesso testo
dispone che l'avvocato che esercita con il proprio titolo professionale di
origine svolge le stesse attività professionali dell'avvocato che esercita con
il corrispondente titolo professionale dello Stato membro ospitante, e può, in
particolare, offrire consulenza legale sul diritto del proprio Stato membro
d'origine, sul diritto comunitario, sul diritto internazionale e sul diritto
dello Stato membro ospitante.
6. L'art. 5, n. 2, riconosce tuttavia
agli Stati membri che autorizzano una determinata categoria di avvocati a
redigere sul loro territorio atti che conferiscono il potere di amministrare i
beni dei defunti o riguardanti la costituzione o il trasferimento di diritti
reali immobiliari, che in altri Stati membri sono riservati a professioni
diverse da quella dell'avvocato, il potere di escludere da queste attività
l'avvocato che esercita con un titolo professionale di origine rilasciato in
uno di questi ultimi Stati membri. L'art. 5, n. 3, aggiunge che, per
l'esercizio delle attività relative alla rappresentanza ed alla difesa di un
cliente in giudizio e se e in quanto il proprio diritto riservi tali attività
agli avvocati che esercitano con un titolo professionale dello Stato membro
ospitante, quest'ultimo può imporre agli avvocati che ivi esercitano con il
proprio titolo professionale di origine di agire di concerto con un avvocato
che eserciti dinanzi alla giurisdizione adita e il quale resta, eventualmente,
responsabile nei confronti di tale giurisdizione, oppure con un
"avoué" patrocinante dinanzi ad essa. Esso, per altro, al fine di
assicurare il buon funzionamento della giustizia, consente agli Stati membri di
stabilire norme specifiche di accesso alle Corti supreme, quali il ricorso ad
avvocati specializzati.
7. Gli artt. 3, 4, 6 e 7 dettano norme
relative, rispettivamente:
-all'iscrizione, presso l'autorità
competente, dell'avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da
quello nel quale ha acquisito la sua qualifica professionale;
-alla formulazione del titolo
professionale utilizzato dall'avvocato che esercita con il proprio titolo
professionale di origine;
-alle regole professionali e
deontologiche applicabili;
-ai procedimenti disciplinari.
8. L'art. 10, n. 1, stabilisce che
l'avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine e che
abbia comprovato l'esercizio per almeno tre anni di un'attività effettiva e
regolare nello Stato membro ospitante, e riguardante il diritto di tale Stato,
ivi compreso il diritto comunitario, può accedere alla professione di avvocato
dello Stato membro ospitante senza che debbano essere soddisfatti i requisiti
del tirocinio d'adattamento per un periodo massimo di tre anni o della prova
attitudinale previsti dall'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva del
Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di
riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni
professionali di una durata minima di tre anni (GU 1989, L 19, pag. 16).
9. L'art. 10, n. 3, della direttiva
98/5 prevede che l'avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di
origine, che dimostri un'attività effettiva e regolare per un periodo di almeno
tre anni nello Stato membro ospitante, ma di durata inferiore relativamente al
diritto di tale Stato membro, può ugualmente ottenere dall'autorità competente
di detto Stato membro, previa presa in considerazione di determinati elementi
integrativi da parte di quest'ultima, l'accesso alla professione di avvocato
dello Stato membro ospitante e il diritto di esercitarla con il titolo professionale
corrispondente a tale professione in detto Stato membro, senza dover rispettare
le condizioni relative ad un tirocinio di adattamento o ad una prova
attitudinale di cui all'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva 89/48.
10. L'art. 10, n. 2, riserva ad un
avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine in uno
Stato membro ospitante la facoltà di chiedere in qualsiasi momento il
riconoscimento del proprio diploma a norma della direttiva 89/48, allo scopo di
accedere alla professione di avvocato dello Stato membro ospitante e di
esercitarla con il titolo professionale corrispondente a tale professione in
detto Stato membro.
11. Gli artt. 11 e 12 disciplinano
l'esercizio in comune della professione di avvocato.
12. Ove l'esercizio in comune della
professione sia consentito agli avvocati che esercitano l'attività col titolo
professionale corrispondente nello Stato membro ospitante, l'art. 11 consente,
a determinate condizioni, agli avvocati che esercitano l'attività nel detto
Stato con il proprio titolo professionale di origine:
-di praticare la loro attività
professionale nell'ambito di una succursale o di un'agenzia dello studio
collettivo di cui essi sono membri nello Stato membro di origine;
-di accedere ad una forma d'esercizio
in comune della professione quando essi provengono dallo stesso studio
collettivo o dallo stesso Stato membro d'origine;
-di esercitare in comune con altri
avvocati provenienti da Stati membri diversi che esercitano parimenti con il
loro titolo professionale di origine e/o con avvocati dello Stato membro
ospitante.
13. L'art. 12 stabilisce che gli
avvocati che esercitano in comune possono menzionare la denominazione dello
studio collettivo di cui fanno parte nello Stato membro di origine e che lo
Stato membro ospitante può esigere che, oltre alla detta denominazione, siano
indicati anche la forma giuridica dello studio collettivo nello Stato membro di
origine e/o i nomi dei membri dello studio collettivo che esercitano nello
Stato membro ospitante.
Nel merito
14. Il Granducato di Lussemburgo
deduce tre motivi d'annullamento relativi, rispettivamente, ad una violazione
dell'art. 52, secondo comma, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica,
art. 43, secondo comma, CE) , ad una
violazione dell'art. 57, n. 2, seconda frase , del Trattato e ad una violazione dell'art. 190 del Trattato CE
(divenuto art. 253 CE) .
15. A sostegno dei detti motivi, esso
chiama in causa gli artt. 2, 5 e 11 della direttiva 98/5, relativi,
rispettivamente, al diritto dell'avvocato migrante di esercitare con il proprio
titolo professionale d'origine, al campo di attività del detto avvocato e
all'esercizio in comune della professione.
Sulla violazione dell'art. 52, secondo
comma, del Trattato
16. Il motivo fondato sull'art. 52,
secondo comma, del Trattato si suddivide in due parti, la prima concernente
l'introduzione di una disparità di trattamento tra cittadini nazionali e
migranti e la seconda una lesione dell'interesse generale relativamente, da un
lato, alla protezione dei consumatori e, dall'altro, ad una buona amministrazione
della giustizia.
Sulla prima parte
17. Il Granducato di Lussemburgo
sostiene che l'art. 52, secondo comma, del Trattato introdurrebbe un principio
di assimilazione del lavoratore autonomo migrante al suo omologo nazionale. La
regola del trattamento nazionale implicherebbe che l'uguaglianza, o la non
discriminazione, dovrebbe commisurarsi alla legislazione dello Stato membro
ospitante e non a quella dello Stato membro di provenienza o d'origine del
lavoratore autonomo migrante, e che il diritto di stabilimento non potrebbe
essere concesso in violazione dei principi imperativi che disciplinano le
professioni autonome e che sono comuni ai diritti dei diversi Stati membri.
18. Secondo il ricorrente, se
un'armonizzazione può giustificare la dispensa da ogni controllo delle
conoscenze di diritto internazionale, di diritto comunitario e di quelle
relative al diritto dello Stato membro d'origine, non si potrebbe concepire una
dispensa relativamente al diritto nazionale dello Stato membro ospitante.
Infatti, le conoscenze da acquisire nel campo del diritto nazionale dei diversi
Stati membri non sarebbero identiche e nemmeno sostanzialmente simili,
diversamente dalle conoscenze oggetto di dispensa nell'ambito di altre
formazioni; del resto, la specificità delle nozioni di diritto nazionale
sarebbe stata riconosciuta dalla direttiva 89/48.
19. Il Granducato di Lussemburgo
ricorda che l'art. 52 del Trattato costituirebbe un'espressione particolare del
principio generale della parità di trattamento.
20. Orbene, sopprimendo qualsiasi
obbligo di formazione preliminare relativamente al diritto dello Stato membro
ospitante e consentendo che gli avvocati migranti esercitino nell'ambito del
relativo ordinamento giuridico, la direttiva 98/5 introdurrebbe una disparità di
trattamento tra avvocati nazionali e migranti ingiustificata in relazione alla
detta disposizione del Trattato, che non autorizzerebbe il legislatore
comunitario ad eliminare, nell'ambito di una direttiva che non introduce
l'armonizzazione delle condizioni di formazione, un requisito di qualificazione
preliminare.
21. La ricorrente aggiunge che la
direttiva 98/5 negherebbe al tempo stesso la differenza essenziale che
esisterebbe, e dovrebbe sussistere, tra stabilimento e prestazione di servizi,
in quanto la direttiva del Consiglio 22 marzo 1977, 77/249/CEE, intesa a
facilitare l'esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte
degli avvocati (GU L 78, pag. 17), consentirebbe già essa stessa all'avvocato
di esercitare la professione nell'ambito dell'ordinamento giuridico dello Stato
membro ospitante senza dover dimostrare la conoscenza delle norme di tale
ordinamento.
22. Il Parlamento e il Consiglio,
sostenuti dalle parti intervenienti, contestano l'esistenza di una
discriminazione alla rovescia. A loro avviso, gli avvocati che esercitano con
il loro titolo professionale di origine e gli avvocati che esercitano con il
titolo professionale dello Stato membro ospitante si troverebbero in due
situazioni diverse, poiché i primi si troverebbe soggetti a molteplici
restrizioni in relazione alle condizioni di esercizio della loro attività. In
ogni caso, la fissazione di limiti al processo di liberalizzazione dell'accesso
alle attività autonome non farebbe parte delle funzioni dell'art. 52 del Trattato.
23. A questo proposito, si deve notare
che il divieto di discriminazione enunciato dalla detta norma è solo
un'espressione specifica del principio generale di uguaglianza che, facendo
parte dei principi fondamentali del diritto comunitario, deve essere rispettato
dal legislatore comunitario e che impone di non trattare in modo diverso
situazioni analoghe, salvo che una differenza di trattamento sia obiettivamente
giustificata (v., in questo senso, sentenze 5 ottobre 1994, causa C-280/93,
Germania/Consiglio, Racc. pag. I-4973, punto 67, e 15 aprile 1997, causa
C-27/95, Bakers of Nailsea, Racc. pag. I-1847, punto 17).
24. Nella fattispecie, è giocoforza
constatare che il legislatore comunitario non ha violato il detto principio,
giacché le posizioni, da un lato, dell'avvocato migrante che esercita con il
suo titolo professionale d'origine e, dall'altro, dell'avvocato che esercita
con il titolo professionale dello Stato membro ospitante non sono paragonabili.
25. Infatti, a differenza del secondo,
che può dedicarsi a tutte le attività con libertà di accesso o riservate dallo
Stato membro ospitante all'avvocatura, al primo possono essere interdette
talune attività e, nell'ambito della rappresentanza e della difesa di un
cliente in giudizio, gli possono essere imposti taluni obblighi.
26. Così, l'art. 5, n. 2, della
direttiva 98/5 consente allo Stato membro ospitante, a determinate condizioni,
di escludere dal campo di attività dell'avvocato migrante che esercita con il
titolo professionale di origine la redazione degli atti che conferiscono il
potere di amministrare i beni dei defunti o riguardanti la costituzione o il
trasferimento di diritti reali immobiliari.
27. Ancora, l'art. 5, n. 3, primo
comma, consente allo Stato membro ospitante, a determinate condizioni, di
imporre agli avvocati che esercitano con il proprio titolo professionale di
origine di agire di concerto con un avvocato che eserciti con il titolo
professionale del detto Stato dinanzi alla giurisdizione adita, oppure con un
"avoué" patrocinante dinanzi ad essa. Il secondo comma dello stesso
articolo autorizza gli Stati membri a stabilire norme specifiche di accesso
alle Corti supreme, quali il ricorso ad avvocati specializzati.
28. Si deve sottolineare, inoltre,
che, ai sensi dell'art. 4, n. 1, della direttiva 98/5, l'avvocato che esercita
in uno Stato membro con il proprio titolo professionale di origine è tenuto ad
esercitare facendo uso di questo titolo, che "deve essere indicato (...)
in modo comprensibile e tale da evitare confusioni con il titolo professionale
dello Stato membro ospitante".
29. Pertanto, è infondata la censura
relativa all'esistenza di una discriminazione a danno dell'avvocato che
esercita con il titolo professionale dello Stato membro ospitante.
Conseguentemente, la prima parte del primo motivo deve essere respinta.
Sulla seconda parte
30. Il Granducato di Lussemburgo
afferma di contestare la validità della direttiva 98/5 nell'interesse dei
consumatori e della buona amministrazione della giustizia. Esso sottolinea che,
secondo la giurisprudenza della Corte, l'applicazione di norme professionali
agli avvocati, in particolare le norme in tema di organizzazione, di
qualificazione, di deontologia, di controllo e di responsabilità, fornisce la
necessaria garanzia di integrità e di esperienza ai destinatari finali [dei
servizi legali] e alla buona amministrazione della giustizia (sentenza 12
dicembre 1996, causa C-3/95, Reisebüro Broede, Racc. pag. I-6511, punto 38).
Orbene, sopprimendo qualsiasi obbligo di formazione relativo al diritto dello
Stato membro ospitante, la direttiva 98/5 lederebbe l'interesse generale, in
particolare quello della protezione dei consumatori, perseguitodai diversi
Stati membri tramite il requisito dell'acquisizione di una qualifica definita
per via legislativa per poter accedere alla professione di avvocato ed
esercitare la medesima. A questo proposito, ammettere la possibilità di
acquisire la formazione attraverso la pratica implicherebbe necessariamente che
la pratica preceda la formazione. Inoltre, sostenere che l'avvocato che
esercita con il proprio titolo professionale di origine non farebbe ricorso al
diritto dello Stato membro ospitante che egli non conosce equivarrebbe a
disconoscere le esigenze imperative che escludono l'assunzione di un simile
rischio; la rilevanza quantitativa di quest'ultimo non dovrebbe avere alcuna
incidenza sulla valutazione della sua inaccettabilità.
31. Il Parlamento e il Consiglio,
sostenuti dagli intervenienti, sostengono che la direttiva 98/5 avrebbe preso
in considerazione ragioni imperative d'interesse generale, in particolare
quella della protezione dei consumatori, agli artt. 4, 5, 6 e 7. Il Parlamento
e il Regno Unito sottolineano che, in virtù delle regole di deontologia, gli
avvocati sarebbero comunque tenuti a non occuparsi di cause in merito alle
quali essi siano, o dovrebbero essere, consapevoli della loro incompetenza e
che ogni violazione della detta regola costituirebbe un illecito disciplinare.
32. Si deve rilevare che, in mancanza
di un intervento comunitario, gli Stati membri possono, a determinate
condizioni, imporre provvedimenti nazionali che perseguano un obiettivo
legittimo compatibile con il Trattato e giustificato da ragioni imperative di
interesse generale, ivi compresa la tutela dei consumatori. In determinate
circostanze, essi possono, quindi, adottare o mantenere in vigore misure che
ostacolano la libera circolazione. Sono in particolare ostacoli di questo tipo
che l'art. 57, n. 2, del Trattato consente alla Comunità di eliminare, al fine
di facilitare l'accesso alle attività autonome e all'esercizio delle medesime.
Nell'adottare tali misure, il legislatore comunitario tiene conto
dell'interesse generale perseguito dai diversi Stati membri e dispone un
livello di protezione di questo interesse che risulti accettabile nella
Comunità (v., in questo senso, sentenza 13 maggio 1997, causa C-233/94,
Germania/Parlamento e Consiglio, Racc. pag. I-2405, punti 16 e 17). Ai fini
della determinazione del livello di protezione accettabile, il legislatore comunitario
dispone di un ampio potere discrezionale.
33. Nella fattispecie, si deve
osservare che diverse disposizioni della direttiva 98/5 enunciano norme volte
alla protezione dei consumatori e a una buona amministrazione della giustizia.
34. Così, l'art. 4 stabilisce che
l'avvocato migrante che esercita con il proprio titolo professionale di origine
è tenuto ad esercitare facendo uso di questo titolo, cosicché il consumatore è
informato del fatto che il professionista cui affida la difesa dei propri interessi
non ha ottenuto la qualifica nello Stato membro ospitante e che la formazione
iniziale di questo potrebbe non comprendere il diritto nazionale del detto
Stato.
35. Come già illustrato, l'art. 5, nn.
2 e 3, consente allo Stato membro ospitante, a certe condizioni, di vietare
l'esercizio di determinate attività all'avvocato migrante e,nell'ambito della
rappresentanza e della difesa di un cliente in giudizio, di imporgli
determinati obblighi.
36. L'art. 6, n. 1, stabilisce che
l'avvocato che esercita con il proprio titolo professionale d'origine è
soggetto non solo alle regole professionali e deontologiche del proprio Stato
membro di origine, ma anche alle stesse regole professionali e deontologiche
cui sono soggetti gli avvocati che esercitano col corrispondente titolo
professionale dello Stato membro ospitante per tutte le attività che esercita
sul territorio di detto Stato.
37. L'art. 6, n. 3, autorizza lo Stato
membro ospitante ad imporre all'avvocato che esercita con il proprio titolo
professionale di origine l'obbligo di sottoscrivere un'assicurazione per la
responsabilità professionale o l'obbligo di affiliarsi ad un fondo di garanzia
professionale, secondo la normativa vigente nel suo territorio, a meno che
l'avvocato interessato sia già coperto da una garanzia di tale natura secondo
la normativa dello Stato membro di origine, e salva la possibilità di esigere,
qualora l'equivalenza sia solo parziale, la sottoscrizione di un'assicurazione
o di una garanzia complementare.
38. Ai sensi dell'art. 7, n. 1, se
l'avvocato che esercita con il proprio titolo professionale di origine non
ottempera agli obblighi vigenti nello Stato membro ospitante, si applicano le
regole in materia di procedimenti disciplinari, le relative sanzioni e i mezzi
di ricorso previsti nel detto Stato.
39. L'art. 7, nn. 2 e 3, fissa, in
materia disciplinare, obblighi di reciproca informazione e cooperazione tra
l'autorità competente dello Stato membro di origine e quella dello Stato membro
ospitante.
40. L'art. 7. n. 4, aggiunge che
l'autorità competente dello Stato membro di origine decide, secondo le proprie
norme sostanziali e procedurali, quali conseguenze debbano trarsi dalla
decisione presa in materia disciplinare dall'autorità competente dello Stato
membro ospitante nei confronti dell'avvocato che ivi esercita con il proprio
titolo professionale d'origine.
41. Infine, l'art. 7, n. 5, dispone
che la revoca temporanea o definitiva dell'abilitazione all'esercizio della
professione disposta dall'autorità competente dello Stato membro di origine
comporta automaticamente, per l'avvocato che ne è oggetto, il divieto
temporaneo o definitivo di esercitare con il proprio titolo professionale di
origine nello Stato membro ospitante.
42. Del resto, si deve osservare che
effettivamente le regole deontologiche applicabili agli avvocati comportano
generalmente, come previsto dall'art. 3.1.3 del codice di deontologia adottato
dal Consiglio degli ordini forensi europei (CCBE), l'obbligo per i
professionisti interessati, corredato di sanzioni disciplinari, di non assumere
incarichi in merito ai quali essi siano, o dovrebbero essere, consapevoli della
loro incompetenza, ferma restando la possibilità di attivare le pertinenti
norme in materia di responsabilità.
43. Pertanto, risulta che il
legislatore comunitario, al fine di facilitare l'esercizio della libertà
fondamentale di stabilimento di una determinata categoria di avvocati migranti,
ha preferito, ad un sistema di controllo a priori di una qualifica nel diritto
nazionale dello Stato membro ospitante, una formula che comprenda
un'informazione per il consumatore, alcuni limiti alla portata o alle modalità
di esercizio di determinate attività della professione, il cumulo delle norme
professionali e deontologiche da osservare, l'assicurazione obbligatoria,
nonché un regime disciplinare che associa le autorità competenti dello Stato
membro di origine e dello Stato membro ospitante. Lo stesso legislatore non ha
soppresso l'obbligo di conoscenza del diritto nazionale applicabile nelle
pratiche trattate dall'avvocato interessato, ma ha semplicemente dispensato
quest'ultimo dalla dimostrazione preventiva del possesso di tale conoscenza.
Pertanto, ha ammesso l'eventuale assimilazione progressiva delle conoscenze
mediante la pratica, assimilazione facilitata dall'esperienza acquisita in
altri ambiti giuridici nello Stato membro di origine. Ha altresì potuto
prendere in considerazione l'effetto dissuasivo del regime disciplinare e di
quello della responsabilità professionale.
44. Operando una simile scelta delle
modalità e del livello di protezione dei consumatori e di garanzia di una buona
amministrazione della giustizia, il legislatore comunitario ha rispettato i
limiti del suo potere discrezionale.
45. Conseguentemente, la seconda parte
del primo motivo deve essere parimenti respinta.
Sulla violazione dell'art. 57, n. 2,
seconda frase, del Trattato
46. Nell'ambito del secondo motivo, il
Granducato di Lussemburgo sostiene che la direttiva 98/5 non avrebbe dovuto
essere adottata a maggioranza qualificata in base alla procedura di cui
all'art. 189 B del Trattato, bensì all'unanimità, in conformità dell'art. 57,
n. 2, seconda frase, del Trattato.
47. Esso ricorda che, ai sensi
dell'art. 57, n. 2, del Trattato:
"In ordine alle stesse finalità
[agevolare l'accesso alle attività non salariate e l'esercizio di queste], il
Consiglio stabilisce (...) le direttive intese al coordinamento delle
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri
relative all'accesso alle attività non salariate e all'esercizio di queste. Il
Consiglio delibera all'unanimità, su proposta della Commissione e previa
consultazione del Parlamento europeo, per quelle direttive la cui esecuzione,
in uno Stato membro almeno, comporti una modifica dei vigenti principi
legislativi del regime delle professioni, per quanto riguarda la formazione e
le condizioni di accesso delle persone fisiche. Negli altri casi il Consiglio
delibera in conformità della procedura di cui all'articolo 189 B".
48. A suo avviso, in diversi Stati
membri la direttiva 98/5 modificherebbe, con i suoi artt. 2, 5 e 11, proprio
alcuni principi fondamentali esistenti in materia di formazione e accesso delle
persone fisiche alla professione di avvocato.
49. Per quanto riguarda la formazione,
la modifica sarebbe palese, giacché non sarebbero più richieste né una
formazione preliminare avente ad oggetto il diritto dello Stato membro
ospitante né un riconoscimento dell'equivalenza in seguito ad una prova
attitudinale.
50. Quanto all'accesso alla
professione, anche in questo caso i principi che lo disciplinano sarebbero
modificati dalla direttiva 98/5, in quanto questa:
-agli artt. 2 e 5 autorizzerebbe il
pieno esercizio della professione di avvocato con il titolo professionale di
origine, il che prima sarebbe stato impossibile nella maggior parte degli Stati
membri, ed eliminerebbe l'obbligo per gli avvocati migranti di conoscere il
diritto dello Stato membro ospitante;
-all'art. 11 liberalizzerebbe
l'esercizio in comune della professione di avvocato anche negli Stati membri
che non autorizzavano tale forma di esercizio e tale modalità di accesso.
51. Il ricorrente sottolinea in
particolar modo che la direttiva 98/5 eliderebbe il principio legislativo del
controllo della conoscenza del diritto lussemburghese da parte di chi si
candida alla professione di avvocato, a danno della protezione dei consumatori.
52. Il Parlamento e il Consiglio
affermano che l'art. 57, n. 2, seconda frase, del Trattato dovrebbe essere
interpretato in maniera restrittiva, poiché si tratterebbe di una disposizione
eccezionale, di deroga alla procedura ordinaria. A loro avviso, nella
fattispecie le condizioni per l'applicazione della citata disposizione non
sarebbero soddisfatte. Il Parlamento, sostenuto dal Regno di Spagna, sottolinea
che la direttiva 98/5 fisserebbe il principio del mutuo riconoscimento dei
titoli professionali acquisiti secondo le modalità previste da ciascuno Stato
membro, al fine di garantire il diritto di stabilimento degli avvocati, sulla
base di uno dei detti titoli, su tutto il territorio comunitario. Se ne deduce
che, in tal senso, l'atto impugnato perterrebbe all'art. 57, n. 1, del
Trattato. La Commissione, dal canto suo, sostiene che la direttiva 98/5
introdurrebbe un meccanismo di mutuo riconoscimento delle autorizzazioni
all'esercizio della professione che, in quanto tale, perterrebbe all'art. 57,
nn. 1 e 2, prima e terza frase, del Trattato.
53. Per quanto riguarda l'esercizio in
comune della professione di avvocato, il Consiglio, il Regno dei Paesi Bassi e
la Commissione affermano che esso in ogni caso perterrebbe alle modalità di
esercizio della professione e non ai principi legislativi relativi all'accesso
alla medesima.
54. Si deve ricordare che l'art. 57,
n. 1, del Trattato recita:
"Al fine di agevolare l'accesso
alle attività non salariate e l'esercizio di queste, il Consiglio, deliberando
in conformità della procedura di cui all'articolo 189 B, stabilisce direttive
intese al reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri
titoli".
55. Si deve osservare, poi, che la
direttiva 98/5, che è volta effettivamente a facilitare, in particolare,
l'esercizio della professione di avvocato come libero professionista, agli
artt. 2 e 5, fatte salve talune eccezioni, sancisce il diritto di ogni avvocato
di esercitare stabilmente, in tutti gli altri Stati membri e con il proprio
titolo professionale di origine, le stesse attività professionali dell'avvocato
che esercita con il corrispondente titolo professionale dello Stato membro
ospitante, compresa la consulenza legale sul diritto di quest'ultimo.
56. La direttiva istituisce altresì un
meccanismo di mutuo riconoscimento dei titoli professionali degli avvocati
migranti che desiderino esercitare con il loro titolo professionale di origine.
Tale meccanismo completa quello introdotto dalla direttiva 89/48 che, per
quanto riguarda gli avvocati, mira a consentire l'esercizio illimitato della
professione con il titolo professionale dello Stato membro ospitante.
57. Contrariamente a quanto affermato
dal Granducato di Lussemburgo, gli artt. 2 e 5 della direttiva 98/5
appartengono quindi all'ambito di applicazione dell'art. 57, n. 1, del
Trattato, e non del n. 2, seconda frase, dello stesso articolo.
58. Conseguentemente, l'argomento
relativo a una modifica dei principi legislativi esistenti nella disciplina
delle professioni ai sensi dell'art. 57, n. 2, seconda frase, del Trattato,
modifica che avrebbe richiesto l'adozione all'unanimità della direttiva 98/5,
non è pertinente per quanto riguarda gli artt. 2 e 5 di quest'ultima.
59. Quanto all'art. 11 della direttiva
98/5, relativo all'esercizio in comune della professione di avvocato, è
sufficiente constatare che esso non disciplina una condizione di accesso alla
professione di avvocato, ma una modalità d'esercizio della stessa. Inoltre,
come sottolineano il Parlamento, il Consiglio, il Regno di Spagna e la
Commissione, la detta disposizione non impone allo Stato membro ospitante di
ammettere tale modalità se esso non consente l'esercizio in comune della
professione per gli avvocati che esercitano con il titolo professionale
appropriato. Conseguentemente, le norme relative all'esercizio in comune della
professione sono state legittimamente adottate sul fondamento dell'art. 57, n.
2, prima e terza frase, del Trattato.
60. Da quanto sopra esposto risulta
che il secondo motivo deve essere respinto.
Sulla violazione dell'art. 190 del
Trattato
61. Il Granducato di Lussemburgo
sostiene che la direttiva 98/5 violerebbe l'obbligo di motivazione di cui
all'art. 190 del Trattato, in quanto essa non conterrebbe alcuna fondata
giustificazione della rinuncia a qualsiasi requisito di formazione preliminare
avente ad oggetto il diritto dello Stato membro ospitante, né conterrebbe
maggiori chiarimenti circa la necessità di accordare, da un parte, un accesso
immediato alla professione con piena competenza sin dal primo giorno, anche
nell'ambito del diritto nazionale, all'avvocato che eserciti con il titolo
professionale di origine e, dall'altra, un esercizio successivo illimitato con
il detto titolo. Secondo il ricorrente, infine, lemotivazioni del terzo, quarto
e quattordicesimo 'considerando' sarebbero parzialmente contraddittorie. Le
affermazioni dei detti 'considerando, che fanno riferimento all'obiettivo
dell'ottenimento da parte dell'avvocato migrante del titolo professionale dello
Stato membro ospitante al termine di un determinato periodo, sarebbero in
contrasto con la scelta di legittimare l'esercizio con il titolo professionale
di origine senza limite di durata.
62. Occorre ricordare che, secondo una
giurisprudenza costante, la portata dell'obbligo di motivazione dipende dalla
natura dell'atto di cui trattasi e, relativamente ad atti destinati ad
un'applicazione generale, la motivazione può limitarsi ad indicare, da un lato,
la situazione complessiva che ha condotto alla sua adozione e, dall'altro, gli
obiettivi generali che esso si prefigge. Se l'atto contestato evidenzia nella
sua essenza lo scopo perseguito dall'istituzione, sarebbe eccessivo pretendere
una motivazione specifica per le diverse scelte d'indole tecnica operate (v.,
in particolare, sentenza 19 novembre 1998, causa C-150/94, Regno
Unito/Consiglio, Racc. pag. I-7235, punti 25 e 26).
63. Nella fattispecie, la direttiva
98/5 contiene una descrizione coerente e sufficiente del quadro d'insieme che
ha portato alla sua adozione:
-l'eliminazione fra gli Stati membri
degli ostacoli alla libera circolazione delle persone e dei servizi costituisce
uno degli obiettivi della Comunità; per i cittadini degli Stati membri tale
libertà di circolazione comporta, in particolare, la facoltà di esercitare, nell'ambito
di un rapporto di lavoro autonomo o subordinato, una professione in uno Stato
membro diverso da quello in cui essi hanno acquisito le loro qualifiche
professionali (primo 'considerando);
-un avvocato in possesso di tutte le
qualifiche prescritte in uno Stato membro può fin da ora, in applicazione della
direttiva 89/48, chiedere il riconoscimento del proprio diploma per stabilirsi
in un altro Stato membro, allo scopo di integrarsi nella professione di
avvocato dello Stato membro ospitante, ivi esercitandola con il titolo
professionale di quest'ultimo (secondo 'considerando);
-nell'ambito della prestazione dei
servizi, la direttiva 77/249 consente già agli avvocati di uno Stato membro, a
certe condizioni, di esercitare la loro attività professionale in un altro
Stato membro, operando con il diritto del loro Stato membro di origine, con il
diritto comunitario, con il diritto internazionale e con il diritto dello Stato
membro ospitante (decimo 'considerando);
-solo alcuni Stati membri consentono
ad avvocati provenienti da altri Stati membri di esercitare attività
professionali, sotto forma diversa dalla prestazione di servizi, sul proprio
territorio con il loro titolo professionale d'origine; tuttavia, negli Stati
membri che riconoscono tale diritto le modalità del suo esercizio sono
profondamente diverse; una siffatta disparità di situazioni dà luogo a
disparità di trattamento e a distorsioni della concorrenza fra gli
avvocatidegli Stati membri e costituisce un ostacolo alla libera circolazione
(sesto 'considerando).
64. La direttiva 98/5 contiene altresì
una descrizione degli obiettivi generali che essa si propone di raggiungere:
-avvocati pienamente qualificati che
non si integrano rapidamente nella professione dello Stato membro ospitante, in
particolare superando la prova attitudinale prevista dalla direttiva 89/48,
devono poter ottenere tale integrazione dopo un certo periodo di esercizio
della professione nello Stato membro ospitante con il proprio titolo
professionale d'origine oppure continuare la loro attività con il titolo
professionale d'origine (terzo 'considerando);
-un'azione comunitaria in materia
mira, da un lato, a offrire agli avvocati un metodo più semplice, rispetto al
sistema generale di riconoscimento, che consenta loro di integrarsi nella
professione di uno Stato membro ospitante e, dall'altro, a rispondere alle
esigenze di consulenza degli utenti del diritto in occasione di operazioni
transfrontaliere (quinto 'considerando);
-essa è volta altresì a risolvere i
problemi legati alla distorsione della concorrenza e agli ostacoli alla libera
circolazione che derivano dalle modalità profondamente diverse di esercizio
della professione con il titolo professionale di origine negli Stati membri che
autorizzano già tale esercizio (sesto 'considerando);
-la direttiva è volta a garantire una
corretta informazione dei consumatori, prevedendo che gli avvocati non
integrati nella professione dello Stato membro ospitante sono tenuti ad
esercitare nel detto Stato membro con il titolo professionale di origine (nono
'considerando).
65. E' pertanto evidente che il
legislatore comunitario, nell'ambito dell'adozione di un atto di portata
generale, ha adempiuto l'obbligo di motivazione di cui all'art. 190 del
Trattato.
66. In base al detto obbligo, esso non
era tenuto a motivare specificamente la scelta effettuata, ai fini
dell'attuazione dei suoi obiettivi generali, relativa alla dispensa dalla
dimostrazione di una formazione preventiva riguardante il diritto dello Stato
membro ospitante nonché dalla concessione del conseguente diritto di esercizio
immediato della professione nell'ambito del relativo ordinamento giuridico.
Tanto meno è tenuto a motivare specificamente la scelta, effettuata ai medesimi
fini, di non limitare nel tempo il diritto di esercitare la professione nello
Stato membro ospitante con il titolo professionale di origine. Del resto, il
legislatore comunitario non è tenuto a porre dei limiti temporali a una misura
volta a facilitare l'esercizio della libertà di stabilimento,posto che tale
libertà, per definizione, presuppone la possibilità di una partecipazione
stabile e continua alla vita economica dello Stato membro ospitante.
67. Infine, non è riscontrabile alcuna
contraddizione tra i 'considerando che si riferiscono all'obiettivo dell'ottenimento
da parte dell'avvocato migrante del titolo professionale dello Stato membro
ospitante al termine di un determinato periodo, da una parte, e la scelta del
legislatore comunitario di autorizzare senza limite di tempo l'esercizio con il
titolo professionale di origine, dall'altra. Infatti, i due tipi di esercizio
della professione sono soggetti a regimi distinti, dato che al secondo sono
imposti limiti propri che circoscrivono la dispensa dalla dimostrazione del
possesso di una formazione preliminare nel diritto dello Stato membro
ospitante. Inoltre, come è stato sottolineato, una misura comunitaria volta a
facilitare la libertà di stabilimento non richiede una limitazione dei suoi
effetti nel tempo.
68. Conseguentemente, il terzo motivo
deve essere parimenti respinto.
69. Non essendo stato accolto nessuno
dei tre motivi dedotti, il ricorso deve essere respinto.
Sulle spese
70. Ai sensi dell'art. 69, n. 2, del
regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è
stata fatta domanda. Il Granducato di Lussemburgo è rimasto soccombente e
dev'essere quindi condannato alle spese, conformemente alle richieste del
Parlamento e del Consiglio. L'art. 69, n. 4, del regolamento di procedura
dispone che gli Stati membri e le istituzioni intervenuti nella causa
sopportano le proprie spese. Il Regno di Spagna, il Regno dei Paesi Bassi, il
Regno Unito e la Commissione sopporteranno pertanto le proprie spese.
Per questi motivi,
LA CORTE
dichiara e statuisce:
1)Il ricorso è respinto.
2)Il Granducato di Lussemburgo è
condannato alle spese.
3)Il Regno di Spagna, il Regno dei
Paesi Bassi, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord nonché la
Commissione delle Comunità europee sopporteranno le proprie spese.
Così deciso e pronunciato a
Lussemburgo il 7 novembre 2000.