Corte Costituzionale, 4 aprile 2001, n. 95  (illegittimità costituzionale dell’art.302 c.p.p. - interrogatorio di garanzia).

 

Ritenuto in fatto

1. — Con ordinanza in data 24 settembre 1999, il Tribunale di Milano – chiamato a decidere, in funzione di giudice del riesame, sull’appello proposto dal pubblico ministero avverso un’ordinanza del giudice per le indagini preliminari, con la quale era stata dichiarata la perdita di efficacia della misura cautelare del divieto di dimora per mancato espletamento dell’interrogatorio di garanzia nei termini previsti dall’articolo 294 del codice di procedura penale – ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 294, commi 1 e 1-bis, e 302 del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevedono che al mancato interrogatorio dell’indagato sottoposto a misura cautelare diversa dalla custodia in carcere e dagli arresti domiciliari, nel termine di 10 giorni dalla esecuzione della misura, consegua la perdita di efficacia dell’ordinanza impositiva della stessa".

Il giudice a quo, dopo aver escluso che l’articolo 302 del codice di procedura penale possa trovare applicazione analogica nel caso di mancato interrogatorio nel termine di dieci giorni dall’inizio della esecuzione di una misura cautelare coercitiva non custodiale, rileva che se prima della riforma del 1995 (che ha introdotto l’obbligo di interrogatorio anche in relazione all’applicazione di misure cautelari diverse da quelle custodiali) la limitazione alla sola custodia cautelare delle conseguenze derivanti dal mancato interrogatorio poteva essere giustificata, poiché in relazione alle altre misure cautelari non sussisteva l’obbligo, per il giudice che le aveva disposte, di procedere all’interrogatorio del soggetto colpito dalle misure stesse, con l’introduzione dell’obbligo di interrogatorio entro il termine di dieci giorni per le altre misure cautelari, sia coercitive che interdittive (comma 1-bis dell’articolo 294), l’omessa previsione della perdita di efficacia per tali misure, conseguente alla mancata modificazione dell’articolo 302 del codice di procedura penale, non troverebbe più alcuna giustificazione.

In ciò il remittente ravvisa una violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione. Infatti, se la ratio della disposizione è di imporre al giudice, che ha applicato una misura cautelare, l’immediata contestazione dei fatti oggetto dell’imputazione cautelare all’indagato e di consentire a quest’ultimo di svolgere le sue difese attraverso lo strumento dell’interrogatorio, nessuna diversità di regime sarebbe giustificata dal tipo di misura cautelare imposta. Il diritto di difesa dovrebbe svolgersi con riferimento anche a misure cautelari che, pur non custodiali, si concretano in significative restrizioni della libertà personale, e del tutto irragionevole sarebbe la previsione di un atto di garanzia senza l’indicazione di qualsiasi conseguenza in caso di inosservanza. Ad avviso del remittente, la "sanzione" di inefficacia della misura rappresenterebbe la naturale conseguenza del mancato interrogatorio, sia per l’identità dello strumento di difesa previsto ai commi 1 e 1-bis dell’articolo 294 del codice di procedura penale, sia perché non sarebbe prospettabile una diversa soluzione rispetto all’inosservanza dell’obbligo previsto.

Quanto alla rilevanza, il giudice a quo osserva che in caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale sarebbe tenuto a rigettare l’appello proposto dal pubblico ministero, mentre in caso contrario l’interpretazione prospettata dall’appellante determinerebbe la revoca dell’ordinanza impugnata ed il ripristino della misura cautelare nei confronti dell’indagato.

2. — E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.

Ad avviso dell’Avvocatura, non sarebbe irragionevole la scelta del legislatore di prevedere la perdita immediata di efficacia solo della custodia cautelare (e degli arresti domiciliari) se il giudice non procede all’interrogatorio entro il termine fissato dall’articolo 294 del codice di procedura penale. La graduazione degli strumenti difensivi offerti agli imputati sarebbe, infatti, funzionale alle diverse situazioni nelle quali gli stessi versano: ferma restando l’inviolabilità del diritto di difesa, che si attua anche attraverso l’interrogatorio, sarebbe giustificato che il legislatore colleghi all’inutile decorso del termine per l’interrogatorio la perdita di efficacia della più grave delle misure cautelari, mentre non sarebbe irragionevole, in considerazione della minore loro gravità, la mancata previsione della estinzione delle altre misure cautelari.

Ad avviso dell’Avvocatura, inoltre, neanche l’articolo 24, secondo comma, della Costituzione potrebbe ritenersi violato, giacché, nel caso in esame, la diversificazione dei modi di esercizio del diritto di difesa a seconda delle situazioni processuali o sostanziali, oggettive o soggettive, nelle quali gli imputati si trovino, non pregiudicherebbe, comunque, il diritto di difesa nella sua essenza.

 

Considerato in diritto

1. — Sono oggetto della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Milano gli articoli 294, commi 1 e 1-bis, e 302 del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevedono che al mancato interrogatorio dell’indagato, sottoposto a misura cautelare diversa dalla custodia in carcere e dagli arresti domiciliari, nel termine di dieci giorni dalla esecuzione della misura, consegua la perdita di efficacia dell’ordinanza impositiva della stessa".

Le disposizioni censurate sarebbero in contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione. Se la ratio delle disposizioni contenute nei commi 1 e 1-bis dell’articolo 294 – osserva il remittente – è quella di imporre al giudice, mediante l’interrogatorio, l’immediata contestazione all’indagato dei fatti che hanno dato luogo al provvedimento cautelare al fine di consentirgli di svolgere le sue difese, non sarebbe giustificata la previsione di cui all’articolo 302, che limita alle sole misure custodiali la perdita di efficacia conseguente all’omesso interrogatorio dell’indagato nei termini previsti. Il diritto di difesa dovrebbe, infatti, trovare analoghe opportunità di svolgimento in riferimento a tutte le misure cautelari personali, custodiali o non, poiché queste ultime determinerebbero, al pari delle prime, significative restrizioni della libertà della persona. Sarebbe quindi del tutto ingiustificato predisporre un atto di garanzia, qual è l’interrogatorio da svolgersi entro pochi giorni dall’esecuzione dell’ordinanza impositiva della misura, senza prevedere conseguenza alcuna in caso di inosservanza.

2. — Anche se apparentemente esteso all’articolo 294, commi 1 e 1-bis, del codice di procedura penale, il dubbio di legittimità costituzionale espresso dal remittente deve ritenersi circoscritto all’articolo 302, giacché è solo a questo che può essere riferita la mancata previsione della perdita di efficacia delle "altre" misure cautelari coercitive ed interdittive nel caso di omesso interrogatorio nel termine stabilito.

Così delimitato l’oggetto della questione, le premesse per il suo accoglimento sono già racchiuse in quei precedenti della giurisprudenza costituzionale che hanno posto in risalto, da un lato, la peculiare funzione dell’interrogatorio di garanzia, dall’altro, la natura afflittiva delle misure cautelari personali interdittive, che possono inscriversi in un ordine di limitazioni non dissimile da quello a cui appartengono le misure custodiali, incidendo anch’esse sulla libertà della persona.

Che l’interrogatorio previsto dall’articolo 294, comma 1, del codice di procedura penale costituisca, fra tutti, lo strumento di difesa più efficace in relazione alla cautela disposta, è stato ripetutamente affermato da questa Corte. Solo l’interrogatorio di garanzia, consistendo in un colloquio diretto tra la persona destinataria della misura cautelare e il giudice che l’ha adottata, è specificamente rivolto a consentire a quest’ultimo di verificare la sussistenza o la permanenza delle condizioni poste a base del provvedimento (sentenze n. 32 del 1999 e n. 77 del 1997).

L’incisività delle misure interdittive sulla vita lavorativa e sulle relazioni sociali della persona che ne è colpita era stata a sua volta sottolineata nella sentenza n. 5 del 1994, in cui si era segnalata l’esigenza che il legislatore provvedesse ad un adeguamento delle garanzie processuali della difesa in questo settore, così da assicurare ai destinatari di tali misure un livello di tutela, se non identico, quantomeno equiparabile a quello riservato alle persone sottoposte alla custodia cautelare in carcere o in luogo di cura o agli arresti domiciliari. Quella sentenza, peraltro, non disconobbe l’esistenza di un ambito di discrezionalità da lasciare al legislatore: quanto allo strumento da adottare per rendere effettivo il diritto di difesa era infatti ipotizzabile una pluralità di soluzioni, ed appariva egualmente rimessa ad una opzione legislativa la possibilità di graduare le garanzie processuali secondo il diverso contenuto afflittivo delle singole misure, coercitive non custodiali e interdittive, che sono previste, rispettivamente, nei Capi II e III del Titolo I del Libro IV del codice di procedura penale. E tuttavia, il profilo sotto il quale la disciplina non poteva dirsi conforme all’articolo 24 della Costituzione veniva in quella sentenza identificato con precisione e puntualizzato nel diritto del destinatario di una misura cautelare ad essere ascoltato, senza dilazione, dal giudice che l’aveva adottata.

Vigente l’articolo 294 del codice di procedura penale, nell’originario testo, rimedi difensivi quali l’appello o l’istanza per la revoca o la sostituzione della misura, peraltro comuni a tutte le misure cautelari personali, e la richiesta di riesame, per le misure coercitive, non risultavano affatto appaganti. Nessuno di essi consentiva infatti il contatto diretto con il giudice che aveva emesso il provvedimento; lo stesso termine di cinque giorni per la decisione sull’istanza di revoca, previsto dall’articolo 299, comma 3, aveva carattere ordinatorio e la sua inosservanza restava priva di conseguenze processuali. Di qui l’esortazione da questa Corte rivolta al legislatore affinché rendesse la disciplina conforme a Costituzione intervenendo su alcuni specifici aspetti: la doverosità dell’interrogatorio, il termine, eventualmente diverso per le singole misure, entro il quale esso si sarebbe dovuto tenere, nonché la sanzione processuale per l’ipotesi di inosservanza.

3. — L’invito formulato con la sentenza n. 5 del 1994 è stato solo in parte raccolto dal legislatore. Con l’articolo 11 della legge 8 agosto 1995, n. 332 (Modifiche al codice di procedura penale in tema di semplificazione dei procedimenti, di misure cautelari e di diritto di difesa), è stato modificato l’articolo 294 del codice di procedura penale, che attualmente non riguarda più le sole misure custodiali, ma tutte le misure cautelari personali, come si evince già dalla nuova rubrica dell’articolo. Ferma la previsione del termine di cinque giorni per l’espletamento dell’interrogatorio della persona sottoposta a custodia cautelare, è stato introdotto un termine più ampio, di dieci giorni, per tutte le altre misure, non solo per quelle interdittive (alle quali si riferiva la citata sentenza), ma anche per quelle coercitive (comma 1-bis dell’articolo 294).

Quella discrezionalità, che la sentenza n. 5 del 1994 aveva ritenuto spettare al legislatore e che, come si è ricordato, avrebbe potuto giustificare una graduazione delle garanzie in ragione della diversa afflittività delle varie misure, è stata quindi orientata nel senso della loro unificazione affinché ne risultasse tutelata al più alto livello l’effettività del diritto di difesa. In altri termini, nonostante vi fosse la possibilità di operare ulteriori distinzioni, si è ritenuto che per tutte le "altre" misure cautelari di cui all’articolo 294, comma 1-bis, il colloquio con il giudice, che l’articolo 294, comma 3, configura come la specifica garanzia processuale preordinata alla verifica delle condizioni di applicabilità e del permanere delle esigenze cautelari, non potesse essere differito oltre il decimo giorno dall’inizio della esecuzione.

Il legislatore ha, tuttavia, omesso di adeguare l’articolo 302 del codice di procedura penale, che continua a prevedere l’estinzione della sola custodia cautelare nel caso in cui sia decorso inutilmente il termine per procedere all’interrogatorio, al nuovo ambito di operatività dell’articolo 294, il quale, in seguito all’introduzione del comma 1-bis, trova ora applicazione, con il diverso termine di cui si è detto, per tutte le misure cautelari personali.

Che questa omissione comporti violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione consegue al già intervenuto riconoscimento della identità della funzione che l’interrogatorio dispiega in relazione a tutte le misure cautelari personali, posto che anche quelle coercitive diverse dalla custodia cautelare e quelle interdittive limitano la libertà della persona (vedi, per il divieto di espatrio, che pure si colloca nel gradino più basso nella scala delle afflittività, la sentenza n. 109 del 1994), incidono negativamente sulla sua attività di lavoro e costituiscono un consistente impedimento alla vita sociale. Proprio l’attitudine a comprimere beni fondamentali della persona, che rappresenta il tratto comune di tutte le misure cautelari personali, esige che identica sia la sanzione processuale nel caso in cui l’interrogatorio non venga compiuto nel termine prescritto.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 302 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che le misure cautelari coercitive, diverse dalla custodia cautelare, e quelle interdittive, perdono immediatamente efficacia se il giudice non procede all’interrogatorio entro il termine previsto dall’articolo 294, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2001.

 

Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2001.